Nico non è mai stata un semplice suffisso dei Velvet Underground
La Musa di Warhol e i Velvet Underground: come se l’unica Nico possibile dovesse essere quella del suffisso (un’imposizione di Warhol) al celebre album dei Velvet Underground. Album che – per la cronaca – ha appena compiuto cinquant’anni. Per fortuna Susanna Nicchiarelli, regista, rende giustizia alla memoria di Christa Paffgen che aveva smesso di farsi chiamare Nico. La scelta della Nicchiarelli è coraggiosa in questo film “Nico, 1988” che non ambisce a essere un biopic. E’ un film vero – accolto bene a Venezia – che racconta gli ultimi due anni dell’ex Nico. Due anni d’inferno ossessionati dalla disperata ricerca di come riprendersi suo figlio Ari (avuto con Alain Delon e non riconosciuto dall’attore) e da un tour “scalcagnato” ma verace con una band che non erano i Velvet Underground. Christa non ha mai smesso di fare musica. Dimostrando come non fosse una semplice icona della factory che partorì un disco che è una pietra miliare della storia del rock. Lei raccontava in quegli anni – gli ultimi di un decennio che avrebbe portato inevitabilmente una rivoluzione in un mondo che stava definitivamente cambiando – che cantava solo tre canzoni (I’ll be your mirror, All Tomorrow Parties e Femme Fatale) e per il resto si limitava a percuotere il tamburello. Aveva chiuso con quel passato ingombrante che rischiava di soffocare l’ex Nico, ormai diventata anti diva, non più Femme Fatale. Ma che la sua bellezza e la sua avvenenza svanissero portandolo verso un gorgo che sembrava appunto inarrestabile non sembrava interessarle. Continuava a raccogliere suoni – che fosse in un bagno o sulla sabbia di una spiaggia italiana davanti al mare – continuava anche a farsi e a non smettere di pensare su come riprendersi suo figlio Ari. Ecco, se si è soliti pensare e sostenere che “Velvet Underground & Nico” è un disco epocale – non solo per la banana sbucciabile di Warhol – ma anche perché ha dato l’impronta a un altro modo d’intendere il rock (che si chiami alt o semplicemente rock non importa) e la spinta a molte band a provarci; non si può nemmeno negare che l’ex Nico, da solista, abbia fatto altrettanto con una generazione di band e songwriter (pensare che sia riuscita a influenzare persino Elliott Smith, non è impresa così ardita) successivi. Con la capacità di capire lo spirito del tempo. Uno Zeitegest che viene ben rappresentato nel film della Nicchiarelli quando Christa, in crisi d’astinenza, deve esibirsi in un concerto clandestino a Praga dove il socialismo (più o meno) reale vive ancora e dove il rock viene considerato quasi demoniaco. Lei sale su quel palco, così approntato alla bene e meglio, prende il microfono e urla “My heart is empty” (canzone dall’omonimo titolo in “Camera Obscura” del 1985). Una scarica elettrica che scuote il pubblico prima dell’arrivo dei militari che sospenderanno il concerto. Rock allo stato puro, energico, viscerale. Carne, nervi e sangue. Per un viaggio nell’abisso personale. Un viaggio che porterà Christa a ripensarsi anche come madre. Prima del tragico incidente di Ibiza. Ecco perché il film, bello e assolutamente da vedere, ha il merito di raccontare come Christa, l’ex Nico, sia tutt’altro che comprimaria o solo un orpello a quel disco memorabile. Che in molti, erroneamente, continuano a considerare come la sua cosa migliore o la sola per cui vale la pena ricordarla.