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Com’era verde la mia Silverstone

Come era verde la mia Silverstone.

Debbo dire che io, almeno nell’automobilismo, non ho mai creduto ai discorsi sul…fattore campo.

Mi ricordo certe menate incredibili, quando ero giovane.

Si andava a Monza?

Ebbene, la Ferrari ha pronto un super motore!

E infatti, se non ricordo male, dopo una fortunosa vittoria di Berger nel 1988, dovemmo aspettare il 1996 di Schumi.

Si andava a Imola?

Idem.

Titoloni sui giornali e spot in tv: la Ferrari ha l’arma segreta.

E infatti, dal 1983 di Tambay, fino al 1999 dello Zio, zero virgola zero.

Eppure.

Eppure, una eccezione esiste.

Io non ho mai visto uno guidare bene a Silverstone come Nigel Mansell.

Mansell! Sembrava posseduto da uno spirito, quando calavamo sull’ex pista d’aereo riservata ai velivoli della Raf (avete letto ‘Enigma’, un grande thriller di Harris?).

Mansell a Silverstone era una divinità.

Riusciva a fare cose che noi umani, eccetera.

Una volta lo seguii in mezzo alla prateria che circonda il circuito, aveva un appuntamento con i suoi fans.

Sembrava trasfigurato. Era sul suo Monte Tabor.

Un mito.

Non parlo del 1999 e dello schianto di Schumi: ne ho parlato troppe volte, ci ho scritto pure un capitolo di un libro.

Vorrei invece chiudere con un lampo.

Di malinconia.

1993, sempre se la memoria non mi inganna.

Stavo percorrendo la pit lane.

Andai a inzuccare, del tutto involontariamente,  contro una signora molto elegante.

Invece di stizzirsi, la signora accettò le mie scuse con un sorriso.

Con il senno di poi, dovrei dire che era un sorriso triste. Ma non me ne accorsi, incantato com’ero dalla sua eleganza.

Lei era Lady Diana Spencer.