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L’epopea di Armstrong, la Luna e la fine delle illusioni

Quella notte con Neil Armstrong, quella notte tra il 20 e il 21 luglio 1969 noi tredicenni ci sentimmo improvvisamente adulti: autorizzati a sfondare la barriera delle tenebre, ad avventurarci in un territorio inesplorato. L’uomo sulla Luna , il sogno che diventa realtà, meritavano quella specialissima licenza dei genitori. La radiocronaca notturna di Benvenuti-Grittifh (del ’67) ascoltata al transistor col babbo, nel silenzio spettrale della casa buia, era stata il prologo sportivo di quell’avventura.

Ma questa volta in campo c’era la Storia con la S maiuscola, lo sbarco del primo essere umano sul nostro satellite, l’inizio di una nuova era, dove la realtà superava la fantasia. L’Apollo 8 di Borman, Lovell e Anders, che avevano orbitato intorno alla Luna nel Natale del ’68, mi aveva entusiasmato come un’avventura di Batman e Superman. Non mi staccavo mai dalla radiolina, ascoltavo ogni aggiornamento, viaggiavo con quei prodi intorno al nostro satellite, scoprendo l’altra faccia della Luna, quella che non si mostra mai ai terrestri.

Così la notte di Armstrong, Aldrin e Collins, quelli dell’Apollo 11, mi ero preparato debitamente all’evento: un’ indigestione di quotidiani e settimanali e poi tanta radio e tv, un’antologia dei telegiornali per essere all’altezza di Tito Stagno e Ruggero Orlando, gli eroi mediatici di quell’impresa, con i loro entusiasmi e gli inevitabili battibecchi sull’ora dell’allunaggio.

Mi resi contro presto che avrei vissuto in presa diretta un evento unico e irripetibile. Grazie alle telecamere della Nasa potevo sfiorare la luna toccando il teleschermo, immaginare il contenuto di quei crateri immensi e lo sbarco nel Mare della Tranquillità. C’era qualcosa di epico in quell’impresa, paragonabile alla scoperta dell’America, alla navigazione di UIisse oltre le colonne d’Ercole, un’Odissea moderna e tremendamente reale, un pezzo importante della storia dell’umanità. E c’era, dietro quelle immagini in bianco e nero, l’afflato di un mondo che credeva ciecamente nel progresso, nella conquista, una civiltà che proiettava nello spazio ansie e paure ma anche la fiducia cieca in un domani che sarebbe stato migliore.

Il piccolo grande passo di Neil Armstrong segnò l’inizio e, al tempo stesso la fine, di una grande illusione. Forse solo lui lassù, lontano da tutti, aveva capito che la strada del domani sarebbe stata molto più tormentata di quel viaggio dalla Terra alla Luna.