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Quelle odiose tag ricordano il Paese in cui viviamo

OGNI VOLTA  in cui si interviene sul tema graffiti esprimendo qualche dubbio sul tipo di scelte fino ad oggi adottate per arginare il fenomeno si finisce per far la parte del fiancheggiatore dei writer. In realtà nell’editoriale pubblicato domenica scorsa in prima pagina non volevo in alcun modo giustificare o tanto meno minimizzare. A volte, nella brevità imposta da un commento, si tralasciano aspetti che non sono affatto secondari, ma che si sacrificano per ragioni di spazio. Cercherò quindi di precisare il mio punto di vista rispondendo alle obiezioni sollevate nelle due lettere pubblicate in questa stessa pagina. Mi si accusa di ‘benaltrismo’: nella stesura originale del mio commento, come prima ragione per cui trovo un po’ particolare il comportamento degli italiani, avevo inserito «i rifiuti che affollano i fossati ai margini delle nostre strade», ma avrei voluto aggiungere anche l’insopportabile incuria di chi getta mozziconi e cartacce per terra o l’assurda abitudine dei mercanti di lasciare i rifiuti in strada in modo da richiedere dopo ogni mercato all’aperto l’intervento di un’autentica task force e stesso copione si ripete dopo ogni manifestazione pubblica. E nessuno che si chieda quale sia il prezzo per queste operazioni di pulizia. È evidente che se avessi portato in primo piano questi aspetti anziché parlare dell’indifferenza che generano nell’opinione pubblica temi quali l’inquinamento ambientale o l’abusivismo edilizio, qualche lettore mi avrebbe obiettato che ben altri sono i problemi. Mi sento quindi di non appartenere a quel genere di persone che si occupa solo di macro tematiche e considera secondaria la questione graffiti. Come cittadino sono disgustato dalle tag nello stesso modo in cui inorridisco per questi comportamenti largamente tollerati. Ed è questo che mi disturba. Perché se un minorenne posso pensare di educarlo, mi spaventano quegli adulti che gettano i loro rifiuti senza farsene cura e se qualcuno azzarda un rimprovero corre il rischio di finire all’ospedale, mentre i graffitari colti sul fatto finiscono (giustamente) in questura. Ma siamo poi certi che per questi ragazzi si faccia quel che si fa a San Francisco, New York e Berlino? Mi risulta che in queste metropoli ci siano luoghi dove i writer possono esprimere la loro creatività.

IN ITALIA è molto piu comodo per i nostri politicanti cavalcare la protesta dichiarando guerre che poi non ottengono nulla, piuttosto che adottare serie politiche giovanili che comporterebbero l’identificazione di luoghi idonei a tale scopo, l’organizzazione di attività connesse alla catalogazione delle opere e, in definitiva, un rapporto diretto con le tanto vituperate crew che in realtà non sono altro che gruppi di ragazzi. Non credo che questi nostri figli vadano abbandonati, né sottoposti a tso come qualcuno auspica, ma aiutati. Per non far la parte di chi parla senza tener conto del mondo in cui vive, faccio un esempio concreto: nelle ultime settimane il parco delle Cave a Milano è stato preso di mira dai piromani. Molti cittadini hanno anche denunciato che questo luogo è più simile a una steppa, piuttosto che a un parco. Ora, perché non creare in questa area dei pannelli dove ogni mese i giovani artisti, veri o presunti non importa, possano esprimere la loro creatività? Mi si obietterà che i writer cercano la trasgressione e non l’omologazione.

IN OGNI CASO se una città adotta ogni misura possibile per agevolare simili passioni, come succede per le attività sportive o di altra natura, i provvedimenti repressivi successivi a eventuali vandalismi sarebbero più giustificabili di quanto non lo siano oggi. In Italia se si getta una bottiglia dal finestrino dell’auto non si è perseguiti e nessuno azzarda a dir nulla di fronte a simili comportamenti di grave inciviltà, mentre un writer viene punito con il plauso di gran parte dei cittadini. Si invocano pene più severe. Bene, cominciamo però a dare il buon esempio. Il vero problema è culturale e riguarda tutti. Siamo un Paese che non è stato abituato ad amare i propri luoghi e i nostri figli ce lo ricordano lasciando obbrobriosi sfregi sulle pareti delle nostre case. Non li giustifico, ma non dimentichiamo il mondo che stiamo lasciando loro in eredità. Solo attraverso l’impegno costante e quotidiano possiamo riuscire a convincerli a non peggiorare una situazione già gravemente compromessa.

ugo.cennamo@ilgiorno.net