Carlo Maria Martini, il cardinale del futuro
SINO all’ultimo ha tessuto la tela del dialogo con i lontani. Dagli atei, ai fedeli di altre religioni, dai protestanti agli ortodossi, passando per i devoti della scienza. A loro il cardinale Carlo Maria Martini è andato incontro non per convincerli a cambiare strada, ma per aiutare le vie dell’uomo ad incrociarsi in un interscambio fecondo e continuo. Come se il confronto trovasse una propria giustificazione nella stessa dimensione ontologica dell’uomo, complessa e plurale: «Ciascuno di noi ha in sé un credente e un non credente che si parlano dentro, che si interrogano a vicenda. Il non credente che è in me inquieta il credente che è in me e viceversa», ripeteva il cardinale.
DA QUESTA APERTURA al prossimo, in qualità di arcivescovo di Milano, Martini ha tratto la forza e la convinzione per promuovere iniziative innovative per la vita della Chiesa. Su tutte la Cattedra dei non credenti (1987-2002), un simposio in cui, per la prima volta, gli uditori erano i cattolici, arcivescovo compreso, non più i senza Dio. Sfidando protocolli e pregiudizi, aprì un canale persino con le Brigate rosse. Nel 1984 Milano era ancora nella morsa del terrorismo e gli omicidi non conoscevano soluzione di continuità. Eppure, l’appello alle Br del gesuita sulla cattedra di Sant’Ambrogio, andò a segno: in Curia mani assassine depositarono un arsenale d’armi. Proprio come aveva chiesto il biblista che nel 1979 papa Karol Wojtyla, a sorpresa, strappò agli studi per consegnarli le chiavi della diocesi più grande d’Europa.
NEGLI ULTIMI anni, quando il Parkinson aveva ridotto a bisbiglio la sua voce, Martini si era rifugiato nella scrittura, intensificando la collaborazione con il chirurgo e parlamentare del Pd, Ignazio Marino. Risale a marzo la pubblicazione del loro libro a quattro mani, Credere e conoscere, dove il cardinale e lo scienziato si soffermano sul fine vita. Aprendo prospettive inedite e controverse per il pensiero cattolico. <La crescente capacità terapeutica della medicina consente di protrarre la vita pure in condizioni un tempo impensabili – sosteneva l’arcivescovo -. Senz’altro il progresso medico è assai positivo. Ma nello stesso tempo le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti, quando ormai non giovano più alla persona>. Il punto delicato - chiosava - è che per stabilire se un intervento medico è appropriato non ci si può richiamare a una regola generale quasi matematica, da cui dedurre il comportamento adeguato, ma occorre un attento discernimento che consideri le condizioni concrete, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti>.
MARTINI sapeva che la malattia, con cui combatteva da 17 anni, aveva fretta e sentiva l’urgenza di affermare il primato del paziente nella scelta di come vivere le sue ultime ore sulla terra. Con straordinaria coerenza il cardinale ha rifiutato qualsiasi forma di accanimento terapeutico, tanto in teoria quanto sulla propria pelle.
SCANDAGLIANDO la sua biografia, si potrebbe pensare a Martini come a uno dei tanti, troppi sconfitti nella storia della Chiesa. Il principe mai re dell’unico regno temporale e spirituale, l’arcivescovo di Milano, fautore della scelta religiosa, battuto nella Conferenza episcopale italiana dai promotori di una solida presenza cattolica in politica come nella società. Suggestione invitante, certo, ma che non tiene conto di un particolare decisivo: Martini non ha mai cullato il sogno di approdare al soglio pontificio o di reggere le file di una maggioranza ecclesiale.
NEL CONCLAVE del 2005 i bookmakers vaticani vedevano in lui il più accreditato tra i porporati progressisti per il dopo Wojtyla. Doveva essere l’avversario ideale di Joseph Ratzinger, indicato come uomo forte dei conservatori. E, invece, in cappella Sistina Martini si presentò in sordina. Ricurvo sul bastone, distante dai riflettori. Quel che non diceva a parole lo esprimeva a gesti: <Fratelli cardinali, io non c’entro, guardate oltre, lo Spirito Santo mi ha dato un altro compito>.
NON QUELLO di reggere la barca di Pietro, ma di procedere nel deserto della modernità alla ricerca di quei segni dei tempi che in futuro potrebbero avere cittadinanza nel Catechismo cattolico. Per questo le sue aperture sul fine vita, i divorziati risposati, l’omosessualità e un ipotetico Concilio Vaticano III hanno puntualmente infastidito gli ambienti ecclesiali più tradizionalisti. Per i quali Martini era l’antipapa per eccellenza. Anche Comunione e liberazione non ha mai avuto un rapporto facile con l’emerito di Milano. Le reciproche diffidenze alla fine hanno minato il confronto al punto che don Julián Carrón, presidente di Cl, un anno fa espresse il suo malessere per la gestione della Chiesa ambrosiana nella stagione Martini-Tettamzanzi. Nelle intenzioni la lettera di Carrón al papa, con la quale chiedeva anche una svolta per l’arcidiocesi di Milano, avrebbe dovuto restare segreta, ma qualche mese fa l’onda lunga di Vatileaks l’ha portata a galla, con il suo carico di polemiche.
SOFFRIVA il cardinale per le critiche di chi in lui vedeva un nemico dell’ortodossia, un eretico, un protestante, tutto Bibbia e niente Tradizione, travestito da cattolico. Certe sue posizioni differivano da quelle di Wojtyla o Ratzinger, ma, da buon gesuita, Martini non ha mai voltato le spalle al papa, né processato dogmi. La sua evangelizzazione si è sempre abbeverata alle fonti della Scrittura e del magistero petrino. Per Ratzinger nutriva una stima lampante, come testimoniato dalle sue parole di vicinanza per lo scandalo della fuga dei documenti vaticani. Non solo. Stando alle ricostruzioni più attendibili, nell’ultimo conclave il ruolo di Martini fu decisivo nel dirottare i voti liberal sul futuro Benedetto XVI, evitando una votazione lunga e dagli esiti corrosivi.
TRADISCE chi vende Cristo per trenta denari dopo aver camminato e mangiato insieme a lui. Senz’altro Martini guardava a una Chiesa riformata, del futuro, ora come ora in minoranza. Ma Giuda era tutta un’altra cosa rispetto a questo gesuita, timido e solenne, che alla fede ha concesso il beneficio del dubbio.
Giovanni Panettiere
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