L’equilibrio di Draghi
No alla licenza bancaria al fondo salvastati Esm, sì all’acquisto dei titoli a breve dei paesi in difficoltà, sì all’Unione bancaria come tappa fondamentale per rifondare l’eurozona ma con un sistema di sorveglianza misto. Mario Draghi, presidente della Bce, oggi ha iniziato a scoprire le carte all’audizione a porte chiuse al Parlamento europeo, in attesa della riunione del board della Bce di giovedì prossimo.
I due sì e il no del presidente dell’eurotower sembrano, a una prima sommaria lettura, avere trovato il difficile equilibrio tra esigenze di intervenire a difesa della stabilità dell’eurozona, il rispetto dei trattati, i «nein» dei rigoristi tedeschi a ogni forma di intervento per calmierare gli spread.
Vediamo perché.
1) L’acquisto dei titoli a breve. Draghi ha sostenuto oggi che «l’acquisto di titoli pubblici fino a 3 anni sul mercato secondario non è un finanziamento monetario agli stati». Secondo Draghi l’azione della Bce «e’ in linea con il nostro mandato», quello di «garantire la stabilita’ deiprezzi», anche quando non si limita a intervenire sui tassi di interesse ma procede ad acquisti di titoli, purche’ siano a breve scadenza. «Non possiamo perseguire la stabilita’ dei prezzi ora, in un’Eurozona frammentata». Nell’attuale situazione «i cambiamenti dei tassi di interesse hanno un impatto su uno o due paesi al massimo e non hanno effetti sul restodell’Eurozona. Per questo dobbiamo ricostruire l’Eurozona e superare questa frammentazione: esattamente per garantire la stabilita’ dei prezzi».
Risposta a chi, sostenendo il contrario, si è schierato in questi giorni contro ogni forma di intervento, Bundesbank in testa. Il primo sì di Draghi, dunque, potrebbe non fare piacere alla Germania, ma il presidente della Bce ha insistito molto sulle «condizionalità severe» che verranno chieste ai paesi assistiti affinchè non si plachi la spinta alle riforme. Parole che dovrebbero placare probabilmente anche gli ultimi mugugni di Berlino. L’andamento delle aste dei titoli di Stato italiani della settimana scorsa, d’altra parte, indicavano fiducia in un possibile intervento sui titoli a breve.
2) La licenza bancaria al fondo salva stati Esm. Sarebbe un meccanismo che consentirebbe al fondo un credito praticamente illimitato da spendere a favore degli Stati in difficoltà. Non piace a molti, tedeschi in prima fila. Ad agosto Draghi si era limitato a dire che la questione della concessione della licenza bancaria non era materia di competenza Bce stante gli attuali trattati in vigore, ma competenza degli Stati. Sulla compatibilità dell’Esm con la legge tedesca, tra l’altro, deve pronunciarsi la corte costituzionale tedesca il 12 settembre (oggi il ministro delle finanze tedesco, Schauble, si è detto sicuro di un via libera).
Draghi all’europarlamento ha sostenuto che — sentiti gli uffici legali — la Bce sarebbe contraria alla concessione della licenza bancaria perché «costituirebbe aiuto agli Stati». In sostanza è un no che piacerà ai tedeschi, ma è anche un no su materia non di competenza della Bce e su uno strumento che deve ancora entrare in vigore. Conta molto sul piano diplomatico, meno su quello concreto: avesse detto sì sarebbe stato un via libera a qualcosa molto di là da venire.
3) L’unione bancaria. E’ uno dei pilastri su cui dovrebbe rifondarsi l’Europa. Scritto nero su bianco anche sul programma dei quattro approvato a luglio. Anche in questo caso Draghi sembra muovere un passo verso Berlino: senza entrare nei dettagli di quanto sta elaborando la commissione, ha sottolineato che alcuni compiti di vigilanza rimarranno a livello di autorità nazionali — come a Berlino piace — mentre altri saranno assunti dalla Bce. E ha prefigurato anche un ruolo per l’Eba, l’autorita’ bancaria già attiva a Londra che manterrà le proprie competenze. Giovedì, giorno in cui si riunisce il consiglio direttivo della Bce, se ne dovrebbe sapere qualcosa di più. O forse no. Vada come vada, l’Europa 2.0 si ricordi di quest’uomo.
(* A ridosso delle parole di Draghi sui Btp a 2 anni i rendimenti sono calati al 2,63 per cento, sui minimi dallo scorso 26 marzo, dal 2,84 per cento che si registrava in apertura, sui Btp a 3 anni sono scesi al 3,52 per cento dal 3,73 per cento visto in avvio. Più contenuto il calo dei tassi sui Btp a 10 anni, al 5,77 per cento dal 5,85 per cento dell’avvio di seduta, con lo spread sui Bund equivalenti calato a 439 punti base dai 451 punti di venerdì scorso in chiusura).