Riflessioni sul “Gel Acciaio”
Ieri sera, quando la casa era nel silenzio, sono passata dalla cucina per sistemare delle cose. Sul tavolo era rimasto il “Gel acciaio, crema per pulire il piano cucina” che non avevo sistemato dal pomeriggio.
E’ un prodotto che mi piace: dopo averlo usato sembra tutto più pulito e più nuovo.
Ma chissà perché ieri sera, senza che fosse successo qualcosa di particolare durante la giornata, il pensiero-collegamento è stato immediato: a qualche migliaia di chilometri da me ci sono persone che non solo non conoscono nemmeno l’esistenza del “gel acciaio”, ma non hanno una cucina e spesso non hanno da mangiare.
Questo pensiero-collegamento potrebbe farlo ognuno di noi ogni giorno con migliaia di oggetti che gli capitano per mano.
Cosa è utile? Cosa è necessario? Cosa è superfluo?
Le case sono piene di oggetti, io da sempre nonostante le case si ingrandiscano in metri quadrati, ho il problema della sistemazione dei vestiti, delle scarpe, dei libri…. Altri non sanno dove mettere i loro oggetti, le loro “collezioni”.
Se dovessi fare il rapporto tra vestiti posseduti e vestiti utilizzati mi vergognerei con me stessa per molto, molto tempo (non che ora non lo faccia).
Per i libri esistono le biblioteche, che sono una delle invenzioni più belle e democratiche per l’umanità, ma poi mi dico “vuoi mettere possedere quel libro?”.
La vocina consumista dentro di me, mi suggerisce che se smetto di comprare vestiti, libri e “Gel acciaio” l’economia va ancora più a rotoli, e quei signori che vendono vestiti, producono il “Gel acciaio” e scrivono, stampano, impaginano, vendono i libri rischiano di rimanere senza lavoro.
L’altra vocina, quella più solidale, mi dice che non ha un senso al mondo possedere vestiti che si indossano solo una volta, così tanti libri quando in biblioteca si trova di tutto, che il “Gel acciaio” non è proprio necessario e inquina pure e che con un po’ di impegno la cucina si lucida lo stesso.
E io non so, non so trovare un equilibrio fra questi pensieri e soprattutto tra questi comportamenti.
C’è poi l’altra vocina, che mi suggerisce che in certi momenti è positivo gratificarsi, è necessario fare qualcosa per se stessi, che l’acquisto, a volte, è un dono verso noi stessi, che è necessario coltivare una parte di “piacere”. Che il vestito nuovo ci fa sentire “più belli”, che il libro nuovo ci fa “viaggiare lontano con la fantasia o arricchisce i nostri pensieri”, che il “Gel Acciaio” ci fa ammirare la nostra casa ed essere contenti di viverci.
Mi fa molto male l’idea che la maggior parte degli esseri umani non possa acquistare un libro e che tanti di loro non sappiano nemmeno cosa sia una biblioteca (questo è ancora peggio), è come giocare una partita truccata.
E’ come se una squadra di giraffe giocasse a basket con le formichine.
Ma la vittoria in quel caso che senso ha? Non è piuttosto deprimente? Se è così abbiamo fallito e non abbiamo nulla per cui sentirci superiori.
Il mio pensiero inevitabilmente, e me ne rendo conto demagogicamente, va anche a chi, scopriamo in questi giorni, utilizza soldi pubblici che tanti progetti potrebbero finanziare (trovando quell’equilibrio nell’ aiutare chi ha bisogno mettendo in circolo risorse per l’economia) per squallidi e volgari bisogni personali che hanno la finalità di gratificare degli ego che appartengono alla categoria “vergogna”
Ognuno di noi ha di che riflettere