Nobel Ue: un premio alla carriera
Il Nobel per la pace all’Unione europea non puo’ che far felice chi crede ancora, come il sottoscritto, al progetto dei padri fondatori e degli ultimi leader europeisti. Per non cadere nella retorica piu’ scontata, pero’, si impone la necessita’ di due considerazioni che calino il riconoscimento nella terra desolata di oggi. La prima: il Nobel ha il pregio di ricordare a tutti cos’era l’Europa sessant’anni fa e oltre. Un continente in guerra continua. Se a quei periodi terribili ne e’ seguito uno lungo e pacifico e’ anche merito del progetto europeo. Di chi decise, per esempio la Francia e la Germania, di ripartire mettendo insieme proprio quelle risorse alla base ditante ostilita’ : carbone e acciaio. Il resto e’ storia nostra e porta alla seconda considerazione: l’Europa che ha affrontato questi anni di crisi ha mostrato paesi piu vicini all egoismo dello Stato di guerra che alla collaborazione tra chi si vuole partner di un grande progetto. Si sono visti agire anche grandi leaders nazionali, ma pochi statisti europei. E qualche segno di rinsavimento lo si e’ avuto solo quando l’avvitamento del vecchio continente nelle spire dei debiti ha reso chiaro anche ai piu forti che nessuno si puo salvare da solo. Merito anche di pochi grandi vecchi (Delors, Schmidtt, Kohl, Prodi) e nuovi leaders (Draghi, Monti) all’altezza, e di paesi come l’Italia che, nel solco di una tradizione che si rifa a De Gasperi e Spinelli, ha mostrato di poter giocare al meglio nel ruolo di costruttore d’Europa. Oggi, in sostanza, il Nobel per la pace all’Ue sembra solo un premio alla carriera piu che a un sogno.