Usa, per chi vota l’Europa
Obama o Romney, per chi dovrebbe votare l’Europa? Manca poco e gli Stati Uniti sceglieranno di nuovo il presidente. Cosa potrebbe cambiare per il vecchio continente se al democratico uscente subentrasse il repubblicano Mitt? Proabilmente poco o niente. Aldilà delle gaffes da campagna elettorale targate Romney: dal “rischiamo di fare la fine di Italia e Spagna se vince Obama”. Alla Fiat che potrebbe vendere la Chrysler ai temuti cinesi. Aldilà dello spirito più europeo di Obama. I rapporti tra le due sponde dell’Atlantico sono intessuti di una moltitudine di legami – non solo storici – che non possono essere sciolti facilmente neppure da un solo presidente, per quanto a capo di un paese come gli Stati Uniti d’America.
Un trasloco alla Casa Bianca, o la permanenza dell’attuale inquilino, non cambiano per esempio la dura realtà della crisi economicasia negli Stati Uniti che nell’Unione Europea. Il comunicato fresco di stampa del G20 finanziario che si è chiuso a Città del Messico rende bene l’idea: la ripresa, specie in alcune aree del mondo, ha fatto capolino. Ma è fragile. I governi pare abbiano deciso di fare a meno di un po’ di austerity per dare qualche chance in più alla crescita ma senza toccare il rigore e l’obiettivo, per i paesi a rischio, di rientrare dai debiti. Ma l’esortazione principale riguarda sia Bruxelles – e i governi dell’eurozona – sia Washington. Gli Usa – esortano ministri economici e governatori del G 20 – devono disinnescare la bomba del “fiscal cliff“: o i politici americani si mettono d’accordo o il primo gennaio negli States andrebbe in scena una stretta fiscale da 600 miliardi di dollari. Una botta micidiale per un’economia già in recessione. L’Europa, invce, deve portare a termine le riforme anti-crisi. Difficile, insomma – tanto per rimanere in campo strettamente economico – pensare che il vincitore della campagna elettorale possa ignorare un quadro simile. Anzi, chiunque vinca c’è da scommettere che non possa essere che più intransigente verso la tentennate Europa.
Più interessante, semmai, è chiedersi quanti vantaggi porterebbe, invece, una sempre maggiore integrazione tra le economie statunitense e quella dell’eurozona che, nonostante tutto, ha ancora ampi margini di sviluppo. Vi ripropongo, a proposito, un vecchio post: La Riscoperta dell’America (e dell’Europa).
L’altro capitolo riguarda la Cina: il G 20 preme perché Pechino – e paesi in surplus commerciale come la Germania – sostenga la domanda interna a favore della ripresa dell’economia mondiale. Certo, i rapporti con la Cina, invece, potrebbero essere ben diversi a seconda che alla Casa Bianca continui a sedere Obama o arrivi Mitt Romney