Tragedia Concordia, notizie o sciacallaggio?
‘La Rai non ha coperto adeguatamente la notizia del naufragio, vergogna’. ‘La7 cancella l’esordio della Dandini per lo speciale di Mentana sul disastro del Giglio. I soliti sciacalli’. ‘Ci sono siti che invitano a mandare racconti, storie e testimonianze dalla Concordia. Vi sembra giornalismo questo?’. Sul web messaggi del genere si sprecano. Chi ha ragione? Dove sta il limite tra notizia e sciacallaggio?
Su Twitter da @tigella e altri è nato una specie di dibattito condiviso. Personalmente, nel sollecitare a raccontare la propria esperienza, non ci vedo niente di male. Anzi. Credo sia il nostro dovere di giornalisti scovare storie che possano dare un’idea di quello che è realmente successo su quella nave. Ma non tutti la pensano così.
‘Le potenzialità del giornalismo sono altre’, scrive @ilmonch, mentre @pietrosalvatori ‘non vede alcunché di morboso nel dire “manda la tua storia”. Anzi. Se sei a bordo e noti disfunzioni, le denunci, scrivi cose sensate e qualche testata di dà spazio, dove sarebbe la malattia?’. Baffetto è di tutt’altro avviso: ‘speculare sulle tragedie è da sciacalli, sempre. Si può informare senza speculare, c’è differenza’. Personalmente credo che fare uno speciale su una tragedia come quella della Concordia non sia affatto da sciacalli e che, invece, sia una forte mancanza un servizio pubblico che preferisca le piroette di Vieri, piuttosto che sottolineare, chessò, il grande cuore della popolazione del Giglio. Insomma, bisogna distinguere. Le critiche ben vengano, ma non si deve esagerare. Se il ‘citizen journalism’ è una delle nuove tendenze del mestiere, perché non mettere a disposizione la sterminata prateria del web affinché arrivino commenti, denunce, messaggi e testimonianze? Che dobbiamo fare? Ignorare che siamo giornalisti 2.0, e scrivere pezzi asettici, nella giusta misura e del giusto taglio? Dai, su, moralisti del web smettetela. Vorrei vedere voi al nostro posto. Cosa avreste fatto? Come avreste trattato la notizia online e sulla carta? E se vi foste trovati lì, sul molo, con gli occhi gonfi dei superstiti che vi passavano davanti, facevate finta di non vederli per umano rispetto? Su, andiamo. Avreste preso il taccuino, il microfono e il registratore e, con un certo garbo, avreste tentato di chiedere loro cos’era successo. Senza insistere, e con umanità.
Ecco, è tutto qui il punto: l’umanità. L’empatia. La capacità di capire quando fare la ‘seconda domanda’ e quando, invece, è meglio chiudersi in un dignitoso silenzio. Penso sia tutto qui il punto. Mentre, invece, ai censori che ho ‘incrociato’ nelle strade virtuali, vorrei far presente un altro aspetto che a molti di loro è sfuggito: chi sta dall’altra parte. Cioè coloro che raccontano. Che postano. Che condividono su Facebook e Twitter foto e dolori. Esempio lampante: Rose Metcalf, ballerina della Costa Concordia che, mentre era sulla nave, ha postato su Twitter la sua paura: ‘Mi chiamo Rose, è venerdì 13 e sono una delle ultime sopravvissute ancora a bordo della nave naufragata. Pregate affinché ci salvino’. Segue una foto di lei al buio e una serie di scatti della ragazza postati dal padre su Twitter.
Ebbene che bisogno c’era? Forse nessuno. O forse, invece, in quei momenti scatta la voglia di condividere l’ansia con qualcuno. Anche se virtuale. Ammetto che non capisco – a meno che non si sia giornalisti o operatori dell’informazione – come si faccia ad essere nel caos, tra salvagenti che mancano e scialuppe strapiene, e pensare di fare un autoscatto. Dubbio, a quanto pare legittimo, visto quanto scrive @andralbe: ‘I malati non sono i giornalisti, ma quelli che bramano di raccontare la propria tragedia’. Chi ha ragione? Forse tutti. Forse nessuno.
Twitter @carpediem79
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