Alì, la F1 e il deserto
L’imminente compleanno del leggendario Muhammad Alì mi ha fatto venire una cosa, da me colpevolmente ignorata in questa sede.
Comunque si giudichi la vita di Alì, non c’è dubbio che è stato in grado di dare un senso allo slogan da fumetto. Da un grande potere derivano grandi responsabilità. Nel caso suo, per ‘potere’ si intende la popolarità, la fama planetaria.
Bene.
Una settimana fa, Human Rights Watch, una organizzazione che si batte per la tutela dei diritti umani in ogni angolo del globo terracqueo, ha invitato la Formula Uno a disertare il Gran Premio del Bahrain, puntualmente reinserito in calendario da Ecclestone e da Todt nonostante in quel pezzo di deserto rimanga molto critica la situazione. Ancora pochi mesi fa, i sauditi hanno spedito i loro carri armati a pattugliare il centro di Manama.
Bene.
Anzi. Male.
Interpellati in proposito, TUTTI (dico tutti) i protagonisti del Circo a quattro ruote hanno dato la seguente risposta: noi faremo quello che ci verrà detto di fare da chi comanda nel nostro ambiente.
Tutti.
Evidentemente in F1 non c’è nemmeno un sosia di Alì.
Debbo anche aggiungere, per amore di verità, che i diritti umani non sono granchè rispettati nemmeno in Cina (eufemismo), ma naturalmente nessuno, temo nemmeno Human Rights Watch, si permette di boicottare la corsa di Shanghai. Del resto, nel 2008 siamo andati tutti a Pechino, per l’Olimpiade.
‘C’è qualcosa che non va/ in questo cielo’ (Vasco).