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Il viaggio dell’anima, circondata dall’umanità

“Ciao, fate buon viaggio. A presto”. Tutto il resto delle parole si blocca in gola. Avrei voglia di dire ‘amici miei, mi mancherete’. Ma poi mi sento patetica e sfuggo a un abbraccio che vorrei durasse per ore. Eppure so che quello non è un addio. E nemmeno un arrivederci. So che quelle persone che mi hanno preso per mano e accompagnato nel viaggio dentro di me, che si sono lasciati circondare, con me, dall’abbraccio quasi soffocante di un’umanità che combatte ogni giorno con la miseria e le privazioni, resteranno sempre dentro di me. Simona, Luca, Ugo. I compagni di un viaggio come questo, fra chi è stato privato dei diritti che a noi sembrano irrinunciabili, scavano dentro di me dei solchi in cui i sentimenti e le emozioni scorrono impetuose, fino alle profondità che non immaginavo neppure di avere. Chiudo gli occhi, nel chiuso della mia stanza, con “le onde” di Einaudi in sottofondo, e riguardo il film di questa settimana. L’arrivo all’aeroporto di Calcutta, accolti da quell’odore inconfondibile di umido con un timido sottofondo di urina. Un odore familiare, che ti fa subito sentire a casa, stanchi ma felici di iniziare una nuova avventura. Lo sguardo interrogativo di quattro persone che si conoscono per la prima volta, che stanno per entrare in una realtà difficile e durissima, che li metterà alla prova, fuori e dentro. Quattro scimmie nude che si annusano e cercano di capire, dai gesti, dalle movenze, se quella piccola comunità potrà funzionare o meno. Il traffico caotico, i clacson assordanti, i vecchi edifici coloniali, pericolanti, scrostati e forse per questo ancora più suggestivi. Il primo ingresso in uno degli slum di Calcutta, dove si riuniscono le donne disabili che sono entrate a far parte del progetto della Fondazione Pangea. I loro racconti, straripanti violenze, abusi, segregazione. Quella sensazione di impotenza che ti si attorciglia allo stomaco, lo stringe, lo contorce. Toccare con mano il loro coraggio, la determinazione per affermare i loro diritti, che sono quelli di tutti gli esseri umani. Capire che la violenza sulle donne non è solo abuso sessuale. È la negazione stessa dell’esistenza, di una possibilità, di un futuro. Frinire negli slum lungo la ferrovia, dove le baracche fatte di plastica, stracci e cartone, resistono imperterrite al passare, perpetuo, dei treni. E poi in quello dove viene portata tutta l’immondizia raccolta per strada, separata e riutilizzata, in un moto perpetuo in cui tutto si crea e nulla si distrugge, perfetta sintesi della millenaria tradizione indiana. Il sapore di spezie e cannella del chai, bevuto nei bicchierini di coccio lungo le strade polverose, preparato con una sapienza a noi ormai sconosciuta. Il sapore del curry edel latte si cocco, mischiato al riso e alle lenticchie, mangiato con le mani, per riscoprire l’antico, potentissimo, contatto col cibo. Le risaie delle zone rurali, di un verde smeraldo quasi fastidioso, a far risaltare gli sgargianti colori dei sari delle donne che lavorano i campi. I panni stesi al sole, lo sterco di cacca messo a essiccare per accendere il fuoco la sera. Le latrine maleodoranti, dove anche fare pipì diventa un’esperienza mistica. Le bancarelle coloratissime e profumate del mercato dei fiori, i bagni rituali nel Gange, che scorre lento accompagnando le ceneri dei morti verso il grande Oceano indiano.
Forse questi tre scimmioni nudi, facevano già parte del mio clan, senza che lo sapessi, senza che ci avessero mai presentato. Parlano la stessa lingua e si cibano delle stesse emozioni. E hanno lo stesso bisogno, quello di sentirsi utili al prossimo e regalare un sorriso. Per questo so che da domani guarderò il Mondo anche attraverso i loro occhi. Attraverso quegli occhi in cui si riflette l’umanità che amo. Ho sempre pensato che ognuno di noi è la sintesi delle esperienze che ha vissuto, delle persone che ha incontrato. So che ho aggiunto un altro tassello importante al puzzle della mia vita.
Simona, Luca, Ugo, grazie. E buon viaggio, ovunque andrete.
www.pangeaonlus.org

Foto di Ugo Panella

Foto di Ugo Panella