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Berlusconi, l’Europa e la forza che non c’è

In politica ancor più che nella vita, in politica estera ancor più che in politica interna, c’è solo un modo per assicurarsi il rispetto altrui: avere la forza. Da cui spesso – non sempre – discende l’autorevolezza. Ebbene, c’è stato un tempo in cui la crisi economica non aveva ancora messo a nudo le debolezze strutturali italiane e in cui il premier Berlusconi appariva saldo in sella. La forza sembrava accompagnarlo. Il Cavaliere veniva allora applaudito dal Congresso americano, omaggiato dal Ppe, tenuto in considerazione dalle istituzioni europee. Quel tempo, però, è finito quando «i mercati» hanno trasferito gli oneri della crisi finanziaria dalle banche agli stati, e gli stati si sono scoperti deboli. Debolissimi quelli col maggior debito pubblico come il nostro, deboli tutti perché privi di sovranità. E mai, quando le cose andavano bene, Berlusconi sembrò avvertire il problema del rapporto tra politica e finanza o tra governi e istituzioni europee. Serve dunque a poco menar scandalo per le parole del vicepresidente della Commissione europea, nonché commissario all’economia, Olli Rehn che degrada l’Italia berlusconiana ad esempio negativo. Ha fatto strame del proprio ruolo istituzionale entrando a gamba tesa nella campagna elettorale italiana? Sì, ma può permetterselo. E non da oggi. E’ firmata Rehn la lettera con cui (a tre mesi di distanza da analoga missiva della Bce) la Commissione europea nel novembre 2011 dettava all’Italia le riforme da approvare a tambur battente. E lo faceva al termine di un anno in cui il governo Berlusconi aveva varato ben cinque, onerosissime, manovre economiche. Si materializzò allora a palazzo Chigi un certo Mario Monti, autorevole perché aderente a chi ha la forza: la finanza e le istituzioni europee. Se Rehn, oggi, attacca Berlusconi è perché, a torto o a ragione, in Monti vede l’uomo che prenderà il suo posto.