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Se con la crisi le badanti tornano a casa…

Gentile signora, volevo raccontarle che nella classe di mio figlio c’è stato un avvenimento molto triste che ha colpito i bambini in questa vigilia di Natale. Uno dei loro compagni, di origine colombiano, ha dovuto lasciare Firenze perché la madre, che era qui da vent’anni, ha deciso di tornare nel suo Paese. L’anziano che curava è morto e i nuovi lavori che trovava (con difficoltà) erano sempre più difficili, si sentiva sfruttata e non rispettata. Cosa ne pensa? Cosa dire ai bambini?

Giuditta Givone

Mettiamola così: non è finito il mondo – come profetizzavano i maya – ma un mondo sta certamente finendo. E siccome il compito dei giornalisti (e non solo) sarebbe quello di contribuire a dare delle letture, a tentare di spiegare quello che c’è sotto o dietro o davanti ai fatti, la sua lettera dà più di uno spunto. E’ capitato anche a me di parlare con degli immigrati che all’improvviso, dopo anni di sacrifici, hanno deciso di tornare nei loro Paesi. C’è meno lavoro, certo, ma non è solo questo. E’ che il nostro mondo è entrato in crisi e con esso il nostro progetto di ricchezza e felicità puntando alla macchina nuova, all’ultimo modello di telefonino, alla casa di proprietà. Dopo aver sgobbato per anni lasciando a casa i figli, questa gente si chiede se ne è valsa la pena, se ha senso rinunciare alle cose più importanti della vita in cambio di quei beni materiali che stando qui avrebbero procurato alle famiglie. Il lavoro diminuisce e peggiora, la gente è più arrabbiata, i soldi sono sempre meno e sempre più sudati, ed ecco che il pensiero di tornare nella loro comunità – magari povera ma calda e accogliente – si fa strada. Ieri una badante polacca è venuta in redazione portando l’elenco delle lamentele dei colleghi che ogni domenica si trovano in piazza Indipendenza. Per la prima volta sfidano il ricatto del licenziamento per dire che sono stanchi di essere sfruttati, di essere trattati come schiavi, di non avere il giovedì e la domenica liberi come di diritto, di dover lavorare anche quando sono malati e anche quando i figli degli anziani di cui si occupano potrebbero facilmente aiutare. E’ un mondo che oltre a non dargli la ricchezza che pensavano di trovare, non condividono più. E tornano a casa, dove almeno sanno che i vecchi non vengono lasciati soli e che il piatto di minestra, per quanto povero, viene diviso. E noi abbiamo questa certezza o l’abbiamo persa per strada?