S come Scenografia. La più arida e cupa che si ricordi. Sanremo senza fiori è come un’isola senza il mare o una chiesa senza il campanile. Cioè non ha senso.

A come Alternativo. Lo avevano annunciato come il Festival della svolta, in realtà l’unica novità interessante è stata la possibilità per gli interpreti di farsi conoscere meglio cantando due brani. Tutto il resto, polemiche comprese, già visto e sentito.

N come Noia. Il picco nella serata di venerdì, quella del cammino a ritroso con le canzoni storiche del Festival storpiate senza pietà e al ritmo delle lumache, con Fazio più lacrimevole del solito negli omaggi a chi non c’è più.

R come Risata. Ce l’ha messa tutta, la Lucianina, ma le battute son sempre le solite e spesso farcite di parolacce, anche se poi certa critica la applaude perchè è dissacrante senza mai essere volgare (sic!). Comunque, anche da dissacrante, poteva evitare alcuni abitini che alla fine sono risultati il suo aspetto più comico.

E come “E ora come faremo senza il Festival?”. Benissimo. Anche perchè comincia l’ultima settimana di campagna elettorale quindi non soffriremo certo di nostalgia: nè per i comici nè per quei ritornelli ormai imparati a memoria.

M come Modà. Terzi in classifica, primi per ascolti in radio e ora vedremo nelle vendite. La più sanremese delle canzoni in gara: bel testo, melodia accattivante, facile da metabolizzare. E una voce che ricorda quella di Roby Facchinetti vent’anni fa (per il timbro, come potenza il Pooh stravince)
O come Oxa. Può anche darsi che sia rimasta a casa perchè la sua canzone era più brutta di altre, però sulle scelte “politiche” aveva ragione. Un sacco di bei discorsi sul rinnovamento e la Lucianina vestita da farfalla alla faccia (anzi all’inguine) di Belen poi però arrivano Al Bano, Toto Cutugno, Pippo Baudo e le top model pro audience e soprattutto per non perdere l’incasso dei diritti venduti all’estero.