Fra le sue tante qualità, il neo Ministro dell’Istruzione possiede quella della riservatezza. Tanto ama il suo lavoro, tanto soffre la luce dei riflettori. Per chi non ha ancora avuto modo di conoscerla abbastanza, vi ripropongo il colloquio avuto con lei in occasione del 150° d’Italia dove si affrontano temi più che mai attuali come Università, giovani, donne e politica.
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Maria Chiara Carrozza dirige la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Eletta nel 2007, a 41 anni, è diventata la più giovane rettore d’Italia ed è stata confermata fino al 2013
Dopo la laurea in Fisica ha vinto vari dottorati per poi indirizzare la propria attività scientifica nelle aree della biorobotica, della biomeccatronica e della neuro-robotica
Sposata, madre di due figli, sogna un nuovo Risorgimento fondato sulla scuola, maggiori opportunità per i giovani e una donna alla Presidenza del Consiglio

Come immagina l’Italia fra 150 anni?
“La immagino perfettamente inserita in uno stato federale europeo”,
– Oggi sembra un’utopia
“Ultimamente stiamo facendo passi indietro, è il prezzo alle scelte sbagliate del passato: scelte politiche, imprenditoriali, culturali, di tutela dell’ambiente. Adesso invece l’Europa ci impone un progetto che comprenda tutte queste aree, ispirato ad una logica comune. Anche se questo comporta diversi problemi”.
– Primo fra tutti?
“L’immigrazione, quindi l’integrazione. Ma secondo me fra poco diventerà un problema anche l’emigrazione”.
– Si riferisce alla fuga di cervelli?
“In parte si tratta di un fenomeno fisiologico, l’esperienza all’estero rappresenta una tappa fondamentale nel percorso del ricercatore. Solo che adesso si registra un’emorragia perchè qui non ci sono concorsi, infatti l’età media dei docenti si sta alzando. E comunque se andiamo avanti così temo che diventerà un fenomeno di massa, esteso a tutte le aree professionali, perchè in Italia sta crescendo a vista d’occhio la percentuale di giovani che non studia e non lavora”.
– Ma ce ne sono anche molti che ad un’occupazione stabile e regolare preferiscono contratti brevi, magari stagionali, e per il resto dell’anno sommano la disoccupazione al lavoro in nero: così faticano meno e guadagnano di più
“Sempre colpa nostra. E stavolta lo dico anche da donna, da mamma. Il mondo giovanile oggi è fondato sul welfare familiare, sui soldi guadagnati dai nonni e dai genitori e su una cultura che tende a coccolarli eccessivamente, soprattutto i maschi. Ci sono madri che vanno in piazza a manifestare per la parità fra i sessi poi tornano a casa per lavare, stirare e cucinare al “bambino” che magari nel frattempo ha già compiuto quarant’anni. Questo è un fenomeno tipicamente italiano, purtroppo, e rappresenta uno svantaggio in più nei confronti del resto d’Europa, non vorrei che fra qualche anno finissimo per fare noi le badanti ai giovani degli altri. Anche se il problema di fondo resta un altro”.
– Quale?
“Offrire ai nostri ragazzi posizioni adeguate al merito, pari opportunità e stipendi dignitosi, poi per loro sarà più facile crescere. Se non siamo in grado di fare questo pagheremo i nostri errori con un esodo massiccio all’estero. Così come prima o poi pagheremo di sicuro il problema energetico, tutt’ora aperto”.
– A proposito: nucleare sì o no?
“Non sono contraria per principio ma credo sia la fonte più difficile da controllare e quindi mi incuriosisce molto il nucleare di nuova generazione, mi piacerebbe saperne di più, ma per fare questo occorre affrontare il tema seriamente. Non in modo ideologico, su pressione delle lobby o dell’emotività per quanto è appena successo in Giappone”.
– Lei invoca da tempo un ricambio generazionale
“Lo ritengo indispensabile per tutta la classe dirigente: politica, imprenditoriale, accademica. Purtroppo anche il fatto di restare attaccati alle poltrone è conseguenza dell’educazione familiare, al mondo non esiste un altro Paese democratico dove chi ha un incarico dirigenziale lotta per conservarlo tutta la vita”.
– Quindi è favorevole al pensionamento nell’Università dopo i 65 anni?
“In generale sì, mi sembra giusto dare spazio ai giovani docenti, ma esistono delle eccezioni quindi la cosa migliore sarebbe introdurre lo stesso metodo di valutazione che abbiamo noi al Sant’Anna”.
– E su cosa si basa questo metodo?
“Su quanto un docente frequenta la vita dell’ateneo, le ore di didattica, il progresso nella ricerca, le pubblicazioni, in sostanza si tratta di capire se è ancora un soggetto produttivo o no. Il problema è che in Italia nessuno accetta di farsi valutare e mica solo nell’Università…”.
– La riforma Gelmini dal suo punto di vista: l’aspetto positivo?
“Che ci costringe a rimettere tutto in discussione, a riflettere, a riorganizzare, a razionalizzare”.
– E quello negativo?
“Che è una riforma senza investimenti. Vero che serve il rinnovamento ma non si può rinnovare tagliando dove capita. E poi non sappiamo ancora come interpretarla, come applicarla, se e quando ci saranno i concorsi, che fine faranno i precari”.
– Marcegaglia presidente di Confindustria, Camusso segretaria di Cgil, lei a capo della Scuola Superiore Sant’Anna e oltretutto rettore più giovane d’Italia: per gli uomini è arrivato davvero il momento di tremare?
“Ci sono settori ancora molto arretrati, per esempio l’Università. Infatti ho proposto che in occasione del rinnovo del nostro Cda sia introdotta una quota donne del 30%. Quel che le imprese hanno fatto per legge noi dobbiamo farlo per cultura e sensibilità. Per il resto, canterò vittoria solo quando una donna diventerà presidente di una Banca o Primo Ministro”.
– E se fosse lei?
“Io cosa?”
– Primo Ministro….
“Dopo aver fatto un po’ di conti investirei su energia e ambiente, ma soprattutto sull’istruzione. E’ la scuola il vero motore per far ripartire l’Italia, così come lo fu nel dopoguerra, quando tutti studiavano sugli stessi libri e seguendo gli stessi indirizzi. Scuola pubblica intendo, l’unico soggetto capace di raggiungere in modo capillare l’intero territorio nazionale, di uniformare e rieducare le nuove generazioni, di prepararle come si deve alle sfide del futuro. Certo che se si cerca di imporre nelle scuole il dialetto lombardo sapendo di aver a che fare con cinesi e giapponesi, credo che faremo poca strada…”.