Si può amare qualcuno, crescere con lui, senza viverci insieme. E quando scompare, sentirsi perduti senza averlo mai avuto.
Una storia dura da accettare, perche viaggia sul terreno scosceso delle ipotesi. Ancora più dura da capire, soprattutto per chi sceglie di staccare la spina ad una vita vissuta a pieni polmoni, attimo dopo attimo, fino all’ultimo battito di ciglia. Ma lui, Giovanni Ederle, questa storia riesce a spiegarla benissimo: “Mio padre non parlava, dormiva. Eppure se non ci fosse stato non avrei imparato tante cose…”.
Il padre si chiamava Francesco e amava con tutto se stesso la terra di San Mattia, frazione veronese dove oltre a coltivare vigneti e oliveti un giorno portò anche i cavalli aprendo il primo agriturismo della provincia. Nella primavera del 1989, a 35 anni, fu colpito da un ictus ed è rimasto in coma fino a qualche giorno fa quando ha lasciato definitivamente questo mondo. Un sonno lungo 24 anni e 7 mesi sul quale Giovanni ha vegliato, insieme al resto della famiglia, senza mai arrendersi: “Il nostro è stato un cammino di speranza, la speranza che aveva soprattutto mia nonna, una donna sorretta da fede incrollabile che non si faceva mai grandi domande né cercava grandi risposte. Diceva solo: siamo nelle mani del Signore”.
Di suo padre, il ragazzo che all’epoca della disgrazia aveva solo due anni, non conosceva nulla tranne la luce spenta del volto: “Con lui non ho ricordi, dormiva e basta. L’ho conosciuto ascoltando mia madre e mia nonna, ma nonostante ci sia mancato un rapporto diretto oggi chi lo conosceva mi dice che gli somiglio, che faccio le cose nello stesso modo in cui le avrebbe fatte lui”. Infatti ha ampliato l’agriturismo, ha piantato nuovi filari, alleva conigli, galline, mucche. E da Francesco deve aver ereditato anche la ruvida semplicità del carattere.
“E’ tutto quello che mi resta di lui, l’amore per la terra e per gli animali. In tanti mi hanno chiesto come si vive con un papà che dorme, e se non sarebbe stato meglio che fosse morto prima. Ma io non l’ho mai nemmeno pensato, perché averlo vicino è stata un’esperienza impagabile” racconta Giovanni in tono dolce e pacato. Come se stesse parlando della cosa più naturale del mondo. E la sua vera eutanasia sarebbe stata dover rinunciare a questo groviglio di emozioni virtuali che l’hanno fatto diventare grande. In tutti i sensi.