Scarda, I piedi sul cruscotto (2014, Mk Records)Pessimo inizio, quello di Scarda: stona, usa arpeggi abusati e apre un disco (“I piedi sul cruscotto” 2015, Mk Records) senza la batteria, manco fosse Bob Dyan. Però, che idea: esordire cantando la storia del muratore che si innamora della studentessa. Un must dell’adolescenza. Tutti a scuola, almeno una volta, avranno pensato: ma cosa ci troverà lei (o lui), così bella e intelligente, in uno come quello lì?

Nessuno – e di questo va dato atto a Scarda – aveva pensato di scandagliare i sentimenti del muratore in questione. Scopriamo così con lui l’amore a parole semplici, in un contesto inedito e pulp in cui l’ascolto è sporco e i pensieri più gentili fanno rima col cemento. Sfida complicata, comunque la si guardi: a voler fare le nozze coi fichi secchi devi essere un genio, o nove volte su dieci fai la figura dello straccione. Scarda ci riesce con parole delicate come una gettata di cemento grezzo. Sentimenti neorealisti che sanno il fatto loro: in fondo ognuno di noi distrugge qualcosa, ma la storia – spiega il suo personaggio – la fa chi sa ricostruire, e non “è forse fatto di mattoni anche l’amore?”.

Nel frattempo Domenico Scardamaglio, il 29enne vibonese naturalizzato romano, ha scritto altre canzoni con testi anche più normali. Le ha suonate nei falò e nelle serate al pub e una volta, mentre le cantava, Mogol che era ospite da quelle parti lo ha sentito e gli ha detto: “Sei bravo, mi ricordi tanto Rino Gaetano”. Come se fosse facile trovare un cantautore della leva degli anni Zero, o degli anni Dieci, calabrese o meno, che non somigli a Rino Gaetano! Ma pazienza: il paroliere di Battisti, fate voi, ha ancora del credito in giro.

Scardamaglio se l’è giocato bene: sul web i suoi brani hanno cominciato a macinare. Le visualizzazioni sono cresciute e le canzoni sono arrivate all’orecchio del regista esordiente Sydney Sibilia che ne ha fatto colonna sonora di un film, ‘Smetto quando voglio’, prodotto da Domenico Procacci e plurinominato al David. Qualcuno allora gli ha detto: “Scarda, ma perché non fai un disco?”. Lui, qui, ha vinto il secondo round: “Non sono un produttore” ha risposto. E pazienza se a fare un disco oggi basa un iPad. C’è chi le cose le fa in casa e chi le fa per mestiere: è come comprare il pane all’ipermercato oppure dal panettiere. Il primo è pane d’accompagno, il secondo è una pietanza a sè.

Così a un certo punto da Scarda sono arrivati Gennaro ‘Mandara’ De Rosa e Marco Verteramo della Mk Records, un’etichetta agguerrita come poche. E ne è nato un disco vero. Più che un’accozzaglia di brani, la tracklist è un romanzo di formazione: c’è la storia di Michele che è matto, ma matto davvero, e per amore ha perso il senno e non dorme, parla da solo, paga le donne per chiamarle col suo nome e “guarda il sole dal tetto perché vuol perder la vista / in un mondo ormai senza di lei… ehi ehi”. Sono figli del suo dramma il possibilista di ‘Io lo so’ e il fatalista di “Dio esiste” (“ma non credo che gli importi / che una volta a settimana / dica formule a memoria / tra i rintocchi ti campana”).

Intanto arriva l’estate e i ritmi si fanno più intensi e focosi. C’è la storia di ‘Gina’, a cui piace far l’amore con molti uomini ma, dentro di sé, aspetta il grande amore. E nel frattempo accade il miracolo: la lirica si fa più fine, la stonatura migliora o semplicemente si fa poesia, brillando nel fascino dell’imperfezione. Gli arrangiamenti abbandonano la cantilena da falò per virare in soluzioni inattese. La poesia neorealista si stempera con la giusta dose di leggerezza. E va bene così. Perché tanto i conti non tornano mai, e non tornerebbero comunque, e anche le lauree sono pezzi di carta. Chiedere a “Mario il precario”, un manifesto generazionale che sarà pure abusato ma, a ben guardare, è l’unica parentesi standard in un disco folle, da ascoltare, poi odiare, deridere, riascoltare, e riascoltare ancora, fino a scoprirsi a canticchiarlo per strada. Benedicendo Scarda e chi sa ancora steccare, in un mondo di pallosissime ugole d’oro.