Francesco Recami, Morte di un ex tappezziere, SellerioCominciare una saga dalla fine ha i suoi bei vantaggi. Uno su tutti: cominci consapevole della morte del personaggio e, se non ti è piaciuto, puoi chiuderla lì. Se invece ti ci affezioni troppo puoi sempre proseguire a ritroso, o cominciare dall’inizio. Gli svantaggi al contempo ci sono pure: ad esempio tutta una serie di non detti su particolari che gli altri lettori sanno e che l’autore, per quanto bravo, non può riproporre in toto. Infine entra in gioco quel certo senso dell’ordine che, in presenza di una serie, rende più gustoso cominciare dall’inizio e non certo dall’epilogo che torme di lettori, magari con tanto di lettere e mail di protesta all’autore, avranno cercato di procrastinare per anni.

Ma tant’è: il libro è letto, il pasticcio è avvenuto. Tanto più se era un regalo, è in casa, è estate, serve un giallo, e neanche il tempo di cercare di resistere che si è a pagina 32. La saga in questione, allora. E’ quella della casa di ringhiera, Milano, dove abita il tappezziere in pensione Amedeo Consonni. Ultrasessantenne, cultore di casi di cronaca nera, pasticcione già protagonista di nove gialli, tutti editi da Sellerio, il Consonni muore di morte violenta nel capitolo della saga che è appena uscito e ha nel suo stesso titolo (“Morte di un ex tappezziere“, 2016, Sellerio), a scanso di equivoci o spoiler, la fine epica di quel mondo. Il mondo descritto, molto bene e con ironia tagliente, è quello onirico e antico delle beghe di cortile, giusto corrette dall’arrivo di rumorosi condomini peruviani, di pericolosi teppistelli maghrebini e conturbanti giovani donne slave. Si sarebbe già detto tutto e invece non si è detto un bel niente. Perché dal momento in cui ci si scontra, a pagina uno, con la bara del Consonni, il suo mondo così ben descritto negli anni fa irruzione tra le pagine a dosi massicce, pieno di rivoli e altre storie. La fidanzata Angela, la figlia Caterina, quel vecchio taccagno del De Angelis, il Giorgi e ovviamente i personaggi nuovi che indubbiamente porteranno il Consonni alla rovina.

Però tutto ciò che, si sa benissimo, deve succedere, non avviene all’improvviso e neppure alla fine. Si costruisce nel tempo, piuttosto, pagina dopo pagina, in un modo così lento e costante che anche il più scaltro dei lettori rischierebbe di non accorgersene. I colpi di scena sono microscopici, piccoli smottamenti in un mondo statico e imperturbabile che toccano inevitabilmente i nervi del Consonni e rapiscono la pazienza del lettore. Impossibile saltare certe divagazioni, manco a dirlo mollare tutto. Si rischierebbe di rimanere complici o, banalmente, si vivrebbe rosi dalla curiosità. E poi non c’è solo il Consonni: in un fine-saga che si rispetti tutti i personaggi che in molti hanno imparato ad amare nel tempo devono, in qualche modo, trovare una chiusa degna. Immaginiamo sia così, o perlomeno al lettore tardivo i conti tornano su tutti. Sugli eccezionali figli dei Giorgi, che vincono a mani basse l’Oscar di migliori attori non protagonisti, tanto più per l’età. Sul Giorgi stesso, protagonista assoluto della sua parte di romanzo, sul De Angelis e sul Consonni, ovvio. Che se doveva pur morire impelagato nei suoi articoli di nera, ha di sicuro scelto il modo migliore.

Ecco è tutto: l’ex tappezziere alla fine muore, ma questa è l’unica cosa che sapevamo fin dall’inizio. Chi gli voleva bene guardi oltre, chi non lo conosceva ne avrà da studiare. Resta il coraggio di Recami per quella morte. Ci vuole coraggio, certo. Camilleri ad esempio, un Gigante indiscusso del genere, ha sempre ammesso candidamente di non averne. E infatti il commissario Montalbano, lo si sa già, non morirà. Al vecchio Consonni è toccata invece un’altra fine, ché questi milanesi si sa sono più pragmatici e precisi, anche quando si tratta di morire. Ma che morte, signori. Costruita, avvincente, ben riuscita, di certo degna di essere vissuta. Sempre che, ovvio, sia poi morto davvero.