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Idee / Una statua per Freak, che viveva nel futuro

I nomi di piazze, strade, edifici, serviranno pur a qualcosa? Ai Gps, per portarci a destinazione quando non siamo del luogo, o se siamo del luogo ma non abbiamo (più) voglia di orientarci. Bene, un punto a favore dell'utilità toponomastica. Ma poi? Non c'è un motivo più profondo se da secoli decidiamo di non chiamare le nostre vie Prima, Seconda o Terza, come in America, e le dedichiamo invece a personaggi meritevoli di lode e di ricordo? Il ricordo, appunto. Solo che per gli antichi è facile: Garibaldi, Mazzini, Verdi, Marconi, hanno fatto l'Italia con le opere, l'arte e la scienza, peraltro molti anni fa: sono inattaccabili. Come la mettiamo con quei nomi contemporanei, morti da poco, sconosciuti ai più? Come spiegare ai posteri e agli abitanti del luogo che ha un senso dare quel nome, forse più delle guest-star risorgimentali?

Certe rare volte tutto torna facile.  A Bologna, per dire, da qualche tempo capita di entrare in un Tempio della cultura come la Salaborsa, così magnificamente zeppo di libri, film, dischi, giornali e riviste, e scoprire che - beh, è naturale! - la sua piazza si chiama Umberto Eco. Ed è in arrivo un altro esempio, stessa città. Questa volta è una statua: in un parco nei pressi della Manifattura delle Arti, tra le aule del Dams, le sale del Lumière, il Cassero con le sue serate e il Mambo, museo d'arte contemporanea, in un fazzoletto di verde dove d'estate si fanno concerti, tra poco spunterà la stele di Roberto Antoni, in arte Freak.

Freak? Ma davvero? Quello degli Skiantos? E perché fargli una statua? Quanti cantanti muoiono e quanti altri, ben più famosi di lui, ormai li abbiamo dimenticati? Che poi gli Skiantos, per dire: andavano più o meno forte nel '77, ai concerti autorganizzati della rivolta. Simpatici, sì, coi loro kinotti, i karabignieri, le sbarbine e quelle performance tutte strane a suon di cartelloni e pastasciutta. Bello, ok, ma cosa resta? Il mondo va avanti, dai, la musica prosegue, la vita pure, e l'ironia, la satira, sono effimere, vivono nel loro tempo, poi muoiono. E a proposito di morire: Freak Antoni lo abbiamo salutato col picchetto d'onore in Comune e tutto il resto. Massimi onori, non andava già bene così? Dimenticarlo, certo, no. Ce ne ricorderemo: di tanto in tanto qualcuno farà un libro sulla scena punk bolognese e lo citerà, qualcun altro farà una cover di "Mi piaccion le sbarbine" e nei credits del disco scriverà il suo nome. Ma una statua? Dite davvero?

Certo che sì. E se è per questo è anche uscito un libro su di lui, ed è nato un premio da consegnare in suo nome agli artisti emergenti. Il perché è quasi scontato. Freak e gli Skiantos erano e sempre saranno avanguardia pura. E all'avanguardia -, motore irraggiungibile di tutte le arti, della scienza, delle culture - sta il compito di fare qualcosa molto prima degli altri, per suscitare sdegno e polemiche e venire dimenticati salvo aprire, col proprio esempio, autostrade a otto corsie verso il successo di chi passerà subito dopo a raccoglierne i frutti. Prendi Elio e le storie tese, il cui stesso nome si ispira a una canzone degli Skiantos, "Eptadone". Ma prendi anche un mucchio di altra roba: dalla comicità anni Duemila alle parodie del web di oggi, dal fascino del dissacrante al nonsense puro che ancora oggi muove la comunicazione seria e faceta.

Tutto o quasi, Freak in nuce lo aveva già fatto, o perlomeno pensato. Dal politicamente scorretto al situazionismo estremo di presentarsi sul palco senza suonare: solo a cuocere e mangiare spaghetti ("Questa è avanguardia, non capite un c...o, pubblico di m...a!"). E ancora: coi suoi sodali lanciò ortaggi sul pubblico, e un'altra volta a un concertone rock si mise a leggere poesie. Infine mollò tutto quando la più lampante delle verità: di noi non frega niente a nessuno, tanto vale smettere. Lo capissero la metà degli artisti al mondo, il panorama musicale sarebbe un posto migliore.

Crudele il destino delle avanguardie, ma era scritto anche quello: non c'è gusto in Italia a essere intelligenti (cit.). Né a guardare troppo avanti. Però ci si può divertire un mucchio. E poi magari, alla fine della fiera, la Storia ci darà ragione (cit.) e qualcuno ti farà una statua. Sai le risate quando il primo studentello dadaista del Dams ti farà i baffi con l'Uniposca? E va là che di sicuro anche lì ci sarà il tuo zampino: le performances post-mortem, gran faccia di bronzo, avrai previsto anche quelle. Perciò grazie di tutto Freak. Ti adoreremo per sempre. Sei il nostro faro. Va' a quel paese.

Simone Arminio

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