ElzeviroPop

MUSICA / Fabrizio Zanotti e la luna nuova dei cantautori

in Musica

Che testa dura, quel Fabrizio Zanotti. Un inguaribile ottimista, anzi, una allegro malinconico. Musicista fin dagli anni '90, quando girava lo Stivale con svariati nomi in codice (Fabry&Banny, Stazione Marconi, Foce Carmosina), partendo da un amore viscerale per il folk americano per approdare, col giusto tempo, al cantautorato italiano più puro.

Fabrizio De Andrè risuona ancora nelle sue orecchie, ma citarlo oggi, mentre Zanotti dà alle stampe il suo Luna Nuova (2018, Fabrika Musika), è forse inutile e deleterio. Perché di tempo ne è passato davvero, e dieci anni di carriera solista, con quattro dischi sul groppone, pesano sul serio forse più di qualunque fascinazione di partenza. C'è qualcosa di ancora impigliato di quel Faber, questo sì, nella voce di Zanotti, in certe pose della voce e in certe frasi. Ma nel frattempo la luna è girata tutta e questa nuova, confezionata da lui stesso, con cura da artigiano nel suo studio 'Fabrika' di Ivrea dove è nato, è tutto un mondo a parte e soprattutto è nuova di zecca.

E' rimasta un'attenzione verso i temi, i valori e quell'impegno civile che ha scandito la carriera di Fabrizio Zanotti, portando in dote al suo palmarès anche premi non banali. Ma a questo punto, sommando De Andrè e impegno, chi non conosce l'autore in questione potrebbe essere portato a sbagliare strada e sbagliarla del tutto. Poiché 'Luna nuova', che arriva a sei anni dal precedente 'Sarò libero' (il primo autoprodotto, dopo gli anni dell'orvietana Storie di Note), è prima di tutto un disco fatto ad arte. Per nulla banale, anzi pieno zeppo di pieghe originali, curiosità, energia.

Zanotti sa cosa fare con le parole, questo ormai è acquisito. Ma nel frattempo la sua bravura di compositore e arrangiatore ha già doppiato l'attenzione sui testi. Lo dimostrano la sua chitarra pulita, certi arpeggi virtuosi, l'emergere di un violino impazzito quando un violino, in quel preciso punto, è tutto ciò che chi ascolta chiederebbe al mondo. Oppure l'uso dei cori, e delle voci femminili in perfetta armonia con il resto, e ancora della fisarmonica, delle percussioni dei crescendo e degli stop. C'è tutto questo in 'Luna nuova', e la sorpresa è quanto un lavoro del genere sappia guardare al passato, e a quegli anni '90 che hanno unito una volta per tutte il rock con il cantautore, senza però scimmiottare, stancare, rifare. La luna è nuovissima, e alcuni suoi tratti sono addirittura epici. Quasi l'avvio di una nuova stagione che, nel tempo tondo di ciò che ascoltiamo, possa far girare di nuovo la ruota, e dal cantautore degli anni zero, col suo chitarrino dimesso (ma non è affatto una critica), sappia farci guardare di nuovo e con ottimismo a un ritorno in stile del rock cantautorale, senza, con ciò darci l'effetto di un deja-vù. Così non è stato con la leva degli anni zero, che pure richiamava certo disimpegno minimalista di fine anni '70 e degli '80. E non lo è stato per i rapper che ripetono oggi, con grande stile e autonomia, certe cose già annusate nei '90.

Il tempo è ciclico, sì, la ruota gira, ed è per questo che Zanotti sembra arrivare a proposito, con un disco che ascoltare è un piacere. Basterebbe uno a caso di quegli undici brani confezionati in una splendida copertina del pittore Ugo Nespolo. Il contenuto è un giornale di oggi. Con un occhio sulle giornate sfinenti, su questo tempo veloce che ci vuole leoni di vitalità e ottimismo di giorno e fragili umani di notte ('Una giornata piena'). Oppure è un album variopinto di umanità, che  mette fianco a fianco 'Konta il greco', mistico, misterioso e un po' filosofo, con Mimmo, il grande 'Goleador' nel suo abito di Moschino, troppo impegnato a vincere e centrare per avere il tempo di pensare.

Sono idiosincrasie, ossimori che ci dilaniano, in perenne equilibrio tra ciò che sappiamo di essere e 'La Bestia' che ogni tanto nasce in noi. Troppo impegno? No, affatto, perché questo è anche un disco spensierato, e in equilibrio tra la malinconia quel sorriso che Zanotti ha sempre saputo indossare. E infatti ci si diverte con 'Fuoritempo' e 'Se giusto è', con la malinconia, quella originale, relegata in un'unica ballata fascinosa, di nome 'Autunno'. Il capolavoro? 'L'industriale', senza dubbio. Una storia potente e fascinosa, sanguigna e un po' zigana, di per certo divertente, dell'industriale poi fallito che a un certo punto si ritrova a vender pesce al porto di Rapallo. E c'è pure una giocosa carta d'identità sul finale: si chiama 'Rebus' e dentro, pigiato come in valigia, c'è tutto il trascorso dei cantautori che l'autore ha amato. Tutti in fila, mito dopo mito: una canzone allegra con cui chiudere il disco e poi gli occhi, per cercare di catturare le buone vibrazioni che ci ha donato.