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LIBRI / Aldo Moro il politico, via Fani a parte

Perché leggere un libro, l'ennesimo, su Aldo Moro? Perché, soprattutto per chi appartiene a generazioni successive a quegli anni, come la mia, Moro è in primo luogo uno statista della Democrazia Cristiana rapito in via Fani a Roma il 16 marzo 1978 dalle Brigate Rosse, e il cui cadavere fu fatto ritrovare 55 giorni dopo in una Renault 4 rossa, in via Caetani. Nozioni importanti, perché dimenticare è delitto e conoscere un dovere, ma che pure sono riuscite negli anni a compiere quell'oblio della Storia a cui molte delle forze in gioco in quella drammatica vicenda sono sembrate fin da subito puntare.

Chi è Aldo Moro, dunque? Uno statista italiano i cui 55 giorni di prigionia e la cui uccisione hanno occupato tutto quel poco spazio che le nostre menti digitali hanno a disposizione per la memoria collettiva, specie se politica, che supera il lustro. A questo cortocircuito ha cercato di ovviare il giornalista Marco Damilano, con 'Un atomo di verità' (2018, Feltrinelli). Un libro, l'ennesimo, su Moro, ma con l'obiettivo, almeno una volta, di raccontare una storia che non sia quella del prigioniero e il più possibile neppure dell'uomo. Piuttosto del politico, con la sua formazione e la sua azione, il suo credo e i suoi programmi, le sue brighe e la sua infinita tela, le sue mosse di impareggiabile lentezza e quella sua capacità forse unica di decriptare il presente politico in cui viveva, e abbozzare un futuro che poi puntualmente si è compiuto. Ed è l'oggi, infatti, il punto di approdo di questo racconto: un momento politico incomprensibile eppure quantomai simile a quello in cui si muoveva il Moro del compromesso. In cui le urne consegnano al Paese i segnali chiari di una rivoluzione partita, senza fornire però ai suoi nuovi protagonisti gli strumenti per compierla e agli antagonisti quelli per comprenderla, e nel caso contrastarla, o appoggiarla. Quello che, fatte le dovute differenze, accadeva in quegli anni. Con una Democrazia Cristiana rinchiusa da tempo nella prigione dorata di una responsabilità di governo, ma alle prese con l'avvento di una nuova era politica che stava corrodendola dall'interno, in un Parlamento in mezzo al guado, non ancora cambiato del tutto, eppure per la prima volta ingovernabile con i soliti schemi.

In quel contesto, ci racconta Damilano, un politico furbo e attento, già ex enfant prodige ed ex Premier e in quel momento presidente del più granitico dei partiti, era impegnato nell'inedito sforzo di scardinare il presente per tentare di farlo entrare dalla porta, gradualmente, anziché venirne travolto quando l'onda sarebbe divenuta troppo grossa. Per descrivere il momento, il giornalista è riuscito nell'imprese di mettere di lato (ma senza rimuovere, ovvio) i momenti drammatici del rapimento e della prigionia di Aldo Moro, per raccontarci il resto, le premesse, il Paese. Palpabile lo scalpore dell'epoca, di fronte a Moro: gli ex democristiani al governo coi comunisti? Quasi scontata la rabbia degli americani.  Incredibile, però, il modo in cui quasi tutto quanto Moro avesse preconizzato si sia poi avverato con la Seconda Repubblica.

Il punto che emerge chiaro è allora quanto la Terza Repubblica, iniziata lo scorso 4 marzo, come in un gioco dell'oca ci riporti in un punto non dissimile da quegli anni. La stessa ingovernabilità, lo stesso sconcerto, le stesse scelte drasticamente nuove e quelle parole dannatamente attuali, che Moro disse a Scalfari un mese prima del rapimento: "Noi governiamo da trent'anni questo Paese. Lo governiamo in stato di necessità, perché non c'è mai stata la possibilità reale e di un ricambio che non sconvolgesse gli assetti istituzionali e internazionali. Se continua così, questa società si sfascia" e "noi continueremo a governare da soli, ma governeremo lo sfascio del Paese. E affonderemo con esso. Ecco l'interesse 'egoistico' della Dc. Perciò ho il dovere di essere creduto se affermo che noi vogliamo preparare alternative reali alla Dc". Ed ecco il compromesso storico, con i Comunisti in maggioranza, in un governo Andreotti o di unità nazionale che Moro costruì dietro le quinte per mesi, con la sua proverbiale ma implacabile marcia lenta e sotterranea. Il suo capolavoro politico, che lui vide ma non visse, perché fu preso quello stesso giorno in via Fani, col sacrificio umano della sua scorta.

Sul perché, e sul per come poté avvenire il rapimento e l'assassinio del politico più in vista e più potente di quegli anni, questo è un altro discorso, in cui quasi tutto è stato detto. Damilano lo ripete per dovere di cronaca, aggiungendo l'ultima verità, quella della terza relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul sequestro Moro dello scorso luglio. Il resto, l'uomo, la politica, emerge invece dall'incontro con i protagonisti superstiti non di quell'omicidio ma di quell'epoca e dalle mille carte che come un puzzle ripercorrono la vita e il pensiero di Aldo Moro, oggi conservate dall'ex politico del Pci Sergio Flamigni e dal suo archivio sterminato di documenti sulla Prima Repubblica, dove è arrivato anche l'archivio Moro, alla morte della moglie. Da quelle carte e dagli scritti durante la prigionia, studiati a lungo ai fini processuali ma mai ai fini di una ricostruzione politica, arriva oggi un quadro sul 1978 che, quarant'anni dopo, si rivela prezioso a capire la storia parlamentare di quei tempi e di quelli che verranno.