Quattro mesi. Tanto è durata l’assenza dai campi di Tiger Woods e, stando alle previsioni al momento dell’intervento, è stato pure poco. A me pare un’infinità.
Nel frattempo sono passati due major, vinti da Bubba Watson e Martin Kaymer, e il World Ranking ha un nuovo leader: l’australiano Adam Scott. Tutto questo movimento però non è riuscito ad accendermi l’entusiasmo e, con il mio, neppure quello degli appassionati. I protagonisti degli ultimi mesi non infiammano il pubblico, non sono coinvolgenti. Non fraintendetemi, non sto mettendo in dubbio le loro doti. Scott è pure un bel ragazzo, gioca bene, ha già vinto dei major ma non ha il carisma di Tiger. E con lui nepppure lo svedese Stenson, che è stato a pochi decimi dal trono, e il freddo Kaymer.
Che il problema nasca dal fatto che non sono americani? Può essere. In effetti il Masters ha emozionato con il trionfo dello statunitense Watson atteso a bordo green da moglie e figlio, un quadretto in classico stile americano. Però l’emozione legata al ricordo del boato che aveva accompagnato il pugno sollevato al cielo dal signore con la maglietta rossa in occasione della vittoria ad Augusta è tutta un’altra cosa.
Tiger non vedeva l’ora di tornare non solo a colpire palline, bensì a giocare 72 buche con l’adrenalina della competizione. Ha scelto il primo torneo disponibile, il Quicken Loans National, che non ha neppure grandi big in campo. Il montepremi di 6,5 milioni di dollari, che in Europa porrebbe il torneo ai vertici, negli States è “normale” e quindi non meritevole di particolari attenzioni.
Il fenomeno ha dichiarato di non essere mai stato così bene. Non so se passerà il taglio, sarà tra i protagonisti o addirittura vincerà. Per me è già un successo poterlo vedere (via computer) di nuovo in campo.
Bentornato.