Ora due esperti americani ampiamente citati dal New York Times  aggiungono un altro indizio nel cestino delle presunte prove a carico di Assad: da un’attenta analisi delle immagini e degli effetti provocati, dicono i due scienziati, è chiaro che è stato usata una quantità di gas molto più alta di quella stimata in un primo momento , e questo  può essere soltanto nelle capacità delle unità di guerra chimica di Damasco.

Sarà, ma in questi casi è arduo sostenere che molti indizi formano una prova. Tutto purtroppo rimanda alla famosa provetta agitata da Colin Powell di fronte al’Onu, salvo poi scoprire che le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein non c’erano (anche se c’è chi sostiene che le abbia trasferite prima dell’attacco proprio in Siria, ha visto mai che le trovino dieci anni dopo? ). Ma Bush e i suoi neocon avevano almeno un progetto preciso in testa, giusto o sbagliato che fosse, condivisibile o meno che fosse: la famosa esportazione della democrazia alle satrapie mediorientali. Qual è il progetto di Obama? Se è lo stesso, non si è capito.

E mai dai tempi della guerra fredda si era visto un presidente  russo trattare con tanta sufficienza, con accenni di derisione, un presidente americano, con un Putin sempre più arrogante che quasi si fa portavoce delle ritrosie europee ad appoggiare un’azione contro Damasco. Tutto questo in un quadro in cui Obama non si è certo distinto per pacifismo rispetto al suo predecessore, malgrado il Nobel per la pace consegnatogli sulla fiducia. Il titolo più bello in questi giorni l’ha fatto Il manifesto, nel giorno dell’anniversario del discorso di Martin Luther King “I have a dream” , mettendo un fotone di Obama sotto il titolo “I have a drone”. Già, perché Obama da anni sta combattendo una guerra semisegreta a colpi di droni, colpendo sistematicamente terroristi di Al Qaeda in Afghanistan e in Yemen, ma con un numero imprecisato di inevitabili danni collaterali. Ma quando si tratta di un’azione visibile,  tentenna: siamo passati dall’ultimatum ad Assad all’attesa dell’ok del Congresso Usa dopo il defilamento degli alleati europei e il dietrofront della Gran Bretagna. Se dici che un superamento della linea rossa non sarà tollerato, non puoi dopo condizionare l’intolleranza a un voto del Congresso…

E in Siria più il tempo passa, più lo scenario si complica. Davanti alla feroce Guardia Repubblicana di Assad infatti ci sono vari gruppi, uniti solo per necessità ma pronti a sbranarsi in caso di vittoria. E tra questi gruppi ci sono anche estremisti islamici altrettanto feroci e brutali molto più vicini ad Al Qaeda che all’America. Da mesi la Cia lavora per far arrivare armi e addestratori nelle mani giuste, sostanzialmente all’”Esercito libero siriano”, filoccidentale. Tutt’altro che facile. Stando ai reportage dei pochi inviati che riescono a raggiungere le zone di guerra, i gruppi islamici, combattendo duramente contro i soldati di Damasco e aiutando i civili , si stanno conquistando il rispetto di una fetta sempre maggiore della popolazione, e questo potrebbe rappresentare uno scenario diverso e ancora più complesso per un eventuale dopo Assad, se l’attacco Usa portasse a un “regime change”

Il segretario di Stato John Kerry parla come Bush: ‘’Non possiamo rimanere spettatori o essere isolazionisti di fronte al massacro – ha detto al Congresso – gli Stati Uniti devono reagire, difendere la nostra sicurezza e i nostri valori.  Dobbiamo fermare Assad e l’uso di armi chimiche: non è il momento di rimanere in silenzio.  Solo i piu ciechi che non vogliono vedere la realtà possono dire che l’attacco non c’è stato o che il regime non è responsabile”. Ma nessuno finora ha saputo indicare la prova inconfutabile. E questo mentre da Damasco i generali di Assad mostrano ai giornalisti i luoghi del massacro: sobborghi di Damasco: “Come avremmo potuto sparare noi quei gas? Bastava che cambiasse il vento e avremmo ucciso i nostri stessi uomini”. Obama deve convincere il mondo se vuole essere credibile e non gettarsi in un Iraq 2 . Ma prima, forse, deve convincere se stesso.