“Invictus” è il titolo di un bellissimo film su Mandela firmato da Clint Eastwood. Ma è anche il titolo della poesia preferita di Madiba, che amava rifugiarsi spesso nei versi del poeta vittoriano William Ernest Henley: “I am the master of my fate. I am the captain of my soul”. Sono il padrone del mio destino. Il capitano della mia anima. Niente e nessuno, neppure una vita in carcere – 27 anni – – hanno mai potuto privare Mandela del suo destino e della sua anima. Un destino che nasce sulla colline del Transkey e finisce nell’eternità, come si legge su quella straordinaria immagine di Mandela esposta oggi allo stadio di Johannesburg: “Nelson Mandela, 1918-eternity”. Un destino che ha camminato insieme al Sudafrica, passando dalla miseria delle township alle mura grigie e umide di Robben Island, la prigione davanti a Capetown che fu la sua casa per vent’anni, ma anche la culla della Rainbow Nation, quella Nazione Arcobaleno dove nei sogni di Madiba bianchi e neri avrebbero un giorno vissuto fianco a fianco condividendo diritti e doveri.
Che concetto difficile da immaginare, allora, per gli schiavi neri del Sudafrica, per uomini che secondo le leggi dell’apartheid non dovevano neppure studiare matematica a scuola, perche’ non ne avrebbe mai avuto bisogno per il ruolo che la società degli Afrikaner aveva cucito loro addosso. Ma “perdono” fu una delle prime parole che Nelson pronunciò non appena divenne il primo presidente nero del Sudafrica. “Nessuno nasce odiando i propri simili a causa della razza, della religione o della classe alla quale appartengono – scriverà nel Lungo cammino per la libertà. – Gli uomini imparano a odiare, e se possono imparare a odiare, possono anche imparare ad amare, perché l’amore, per il cuore umano, è più naturale dell’odio”.
Era dovuto passare dalla lotta armata, a malincuore. Ma ora sapeva che la strada dell’amore era la sola che avrebbe potuto salvare un Paese che amava quanto i suoi ex oppressori bianchi. L’ African National Congress era stato inserito da Ronald Reagan nella black list delle organizzazioni terroristiche: l’Africa era una pedina importante nella guerra fredda, e gli equilibri mondiali dettavano le linee da seguire e le scelte da fare. Oggi il progressista Obama, primo presidente nero della storia americana, e il conservatore George Bush volano insieme ad abbracciare i familiari di Mandela, che l’America ha sostenuto con maggiore convinzione di quanto non lo avesse condannato. E’ anche questa è una vittoria di Madiba.
Aveva 16 anni quando gridò “Ndiyindoda!”, “Sono un uomo!”, il giorno in cui fu circonciso dalla sua tribù, sulle rive di un fiume lontano. Lo è rimasto per ogni giorno della sua vita. Padrone del suo destino. E capitano della sua anima.
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