E’ una delle testimonianza fondamentali nella telenovela dei marò ma naturalmente le autorità indiane la ignorano. Bè, non ignoriamola anche noi come giustamente ha esortato ieri uno dei due militari prigionieri, Massimiliano Latorre, invitando tutti  “a riascoltare l‘intervista al comandante in seconda della petroliera Enrica Lexie, Carlo Noviello”. (ecco il link all’intervista di Antonio Iovane di  Radio Capital su youtube)

Bene, riascoltiamola. Il racconto è deciso e chiarissimo. E sottolinea tre elementi chiave di quanto accaduto il 15 febbraio 2012 in acque internazionali.

1. C’è stato effettivamente un tentativo di abbordaggio alla Lexie da parte di un barchino con uomini armati. I marò, dopo aver più volte intimato alla barca di allontanarsi, hanno “sparato in acqua” costringendo gli assalitori ad allargare e allontanarsi passando a poppa della petroliera. Nessuno sul barchino è stato colpito.

2. Il barchino era di tutt’altro tipo e di diverso colore rispetto al peschereccio St Anthony, dove sarebbero morti i due pescatori.

3. La Lexie è stata attirata nel porto di Kochi con un tranello:  hanno chiesto all’equipaggio della nave di riconoscere  due barchini fermati  dagli indiani come i loro possibili assalitori. Invece volevano arrestare i marò.

Secondo Noviello i due pescatori erano stati uccisi per errore da qualcun altro, e gli italiani sono stati accusati ingiustamente per coprire questo delitto: se non è vero è verosimile, con tutti gli elementi  che continuano a saltar fuori su questa assurda vicenda: a partire dal calibro dell’arma russa che ha ucciso i pescatori,  e che nulla a a che fare con le munizioni in dotazioni ai Beretta Ar 70 dei nostri marò.  La puzza di trappola si è sentita subito su questa vicenda: malgrado ciò, siamo riusciti perfino a rispedire agli indiani Latorre e Girone, che ora rischiano perfino la pena di morte come terroristi.  Altro che palle d’acciaio.