Un Boeing scompare dai radar, sembra il classico preludio a un brutto incidente aereo. Poi si scopre che a bordo c’erano almeno due passeggeri (identificato un iraniano) con passaporti rubati. “Volevano solo emigrare in Europa” si dice, ma nessuno è pienamente  convinto. Poi i cellulari dei passeggeri che continuano a squillare e sopratutto quei “ping”, quei segnali automatici provenienti da uno degli apparati di bordo , l’Acars, che sta per  Aircraft Communication Addressing and Reporting System, un sistema di datalink via satellite che ha reso possibile l’individuazione di eventuali anomalie in tempo reale consentendo una maggiore sicurezza.

L’anomalia stavolta non era in un apparato di bordo, ma proprio nel fatto che i ping continuassero a essere ricevuti dai satelliti, malgrado l’aereo fosse scomparso dai radar: nel senso che il transponder – il sistema che trasmette  posizione, velocità, rotta e quota di un aeromobile – non funzionava più. E a questo punto è lecito pensare che fosse stato spento, o dal pilota, magari sotto minaccia, o da qualcuno che aveva preso il suo posto.

Il Boeing 777-200 del volo MH370 Kuala Lumpur -Pechino al momento in cui si è perso il contatto aveva ancora almeno 7 ore di autonomia con un “range” stimato secondo il  Washington Post in 4000 miglia, circa 7400 chilometri. Insomma, avrebbe potuto atterrare in Iran, o in Pakistan, o in Kazachstan o magari nello Yemen. Non che possa posare le ruote su un prato qualsiasi: al 777 serve per l’atterraggio una pista di circa 2500 metri, e ancora più lunga per il decollo. Così qualcuno ipotizza che l’obiettivo potesse essere qualche base militare abbandonata, ce ne sono parecchie sparse per il mondo. Un luogo nascosto dal quale un giorno far ridecollare l’aereo per lanciarlo su chissà quale obiettivo.

Sembra un’ipotesi fantasiosa, pazzesca. Ma se prima dell’11 settembre qualcuno avesse immaginato due aerei civili dirottati e scagliati sulle Twin Towers non l’avremmo preso tutti per pazzo?