BOLOGNA. «NO, NON sono per nulla d’accordo con il governatore della Bce Mario Draghi.
Il welfare europeo non è quasi morto». Martin Schulz, 56 anni, due figli,
presidente del Parlamento europeo, visita per la prima volta l’Italia.
Perché ha torto Draghi?
«Noi dobbiamo difendere il nostro modello sociale. I termini della
questione sono questi. È meglio, lavorando 8 ore e guadagnare un salario
sufficiente a mantenere sé stessi e la propria famiglia o avere 4 lavori in
quattro aziende diverse e non avere soldi sufficienti per campare?».
Tanti giovani europei non hanno un lavoro…
«L’ideologia attuale è tagliare, tagliare, tagliare la spesa pubblica. Non
si parla più di investire…».
Dove?
«Nell’industria verde per esempio. Se la Cina o l’India arrivano al nostro
livello di benessere con lo stesso consumo di energia dell’Europa e con la
stessa emissione di anidiride carbonica diventa prevedibile la fine della
terra. Si deve investire nello sviluppo e nella produzione di beni a basso
consumo di energia. I settori sono tanti. Pensi alle auto, al riscaldamento,
agli aerei, ai treni e anche agli elettrodomestici come le macchinette per
il caffè e le televisioni. C’è tanto da fare e così possiamo creare posti di
lavoro per i giovani».
La Grecia ora è salva?
«Solo con i quattrini no. Il Paese ha bisogno di tre cose. Deve investire
nell’energia solare. Poi c’è l’Unione del Mediterraneo. Per la Grecia può
essere una grande opportunità. Un’area di scambio commerciale fra la riva
nord dell’Africa e quella meridionale dell’Europa potrebbe essere un grande
acceleratore di sviluppo. La Grecia potrebbe avere un ruolo di primo
piano…».
E la terza?
«C’è una grande depressione ora in Grecia. Il punto è la speranza. Martedì
visiterò il Parlamento greco. Gli dirò che credo nella loro capacità di
farcela».
Lei sostiene che quello che sta facendo l’Italia è decisivo per tutta
l’Unione.
«Roma è un membro del G8 ed è la quarta economia europea. Insomma è un
pilastro (ndr. Schulz usa la parola italiana) economico e politico».
C’è differenza fra l’Italia guidata da Monti e quella di Berlusconi?
«Penso che il problema fosse che il Paese per la maggior parte del tempo
trattava i problemi del primo ministro più che i suoi. Dava l’impressione di
essere bloccato. Ora mi sembra che sia di nuovo in piedi. È, più o meno, una
differenza psicologica».
Si può restituire fascino all’Europa?
«Era una promessa per la gente di più pace, più lavoro, più salari e più
welfare mantenuta per molto tempo. E secondo me lo è ancora. Ora abbiamo
concorrenza fra regioni del mondo non più fra stati nazionali. Pensi alla
Cina, all’India, agli Stati Uniti, all’Africa. Se vogliamo sopravvivere,
dobbiamo stare uniti, 600 milioni di persone con una forte economia alle
spalle. Se ci dividiamo la Germania, tanto per fare un esempio, nel 2040
sarà meno dell’un per cento della popolazione mondiale. Solo se siamo forti,
possiamo difendere il nostro modello sociale».
In altri posti del mondo produrre costa meno.
«Vero. Utilizzano i bambini, non c’è nessuna regola sul mercato della
manodoopera, si lavora 14 ore al giorno, i salari sono da schiavi, non ci
sono sindacati. Ma la gente lì aspetta i suoi diritti. Il leitmotiv dei miei
genitori era che i figli avrebbero dovuto avere una vita migliore della
loro. È successo. Come padre non so se posso dire lo stesso per i miei
figli. Perché ciò accada è necessario che ci sia l’Europa. Così
riconquisterà il suo fascino».
Sulla Libia è stata profondamente divisa…
«Siamo una superpotenza economica politicamente irrilevante».
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