C’È UNA calma apparente. Non sappiamo che cosa accadrà nelle prossime 48 ore. Le strade sono affollate da uomini armati. La situazione è particolarmente difficile per noi cristiani. Abbiamo paura. Noi non vogliamo schierarci e neppure prendere le armi. Tutto questo macello di sicuro non  porta al bene del Paese». Monsignor Jean-Clément Jeanbart, 68 anni, da sedici è il vescovo cattolico di rito greco-melchita di Aleppo. La vasta comunità cristiana, 170 mila fedeli, teme di essere travolta nel tritacarne della guerra civile.
   È la fine di una lunga convivenza?
 «Noi siamo qui da 2000 anni. Sono 1400 che campiamo con i musulmani. Ma
 ora…»
  Che cosa vi preoccupa?
  «I fondamentalisti, i qaedisti che si sono mostrati intransigenti e  integralisti in altri Paesi e in realtà simili».
  Sono molto numerosi?
  «Io non ho statistiche, ma ci sono senz’altro. Molti arrestati o uccisi non  sono siriani. Questo, come abbiamo letto nella stampa straniera, risulta  anche agli europei, agli americani e ai turchi. Sono finiti in cella libici e libanesi. Tutto questo mi fa paura… loro non sanno che i cristiani di
 Siria sono cittadini pacifici che hanno saputo lavorare e vivere con i musulmani».
  Quanta parte della città è sotto il controllo dell’opposizione?
  «Almeno 3 o 4 quarteri, Salaheddin, Sakhour, Arkub in parte. Arkub è vicino  a rioni cristiani. Quello che è urgente è un compromesso, una soluzione pacifica fra le due parti come era negli intenti della missione Annan, che rappresenta una via d’uscita onorevole per tutti. Chiediamo questo e per questo preghiamo. Siamo tutti siriani e vogliamo il bene del Paese, non la sua distruzione. Però un confronto di grande portata sembra vicinissimo. Forse è una questione di sole 48 ore. Gli esiti potrebbero essere tremendi».
 
  È vero che duecentomila cittadini sono fuggiti da Aleppo?
 «Io credo che non siano più di 60-70mila su 5 milioni. Dalla periferia della  città molti si sono riversati sul centro per sfuggire ai combattimenti. Si  dovrebbe alleggerire l’embargo che alla fine ricade su tutti. Occorre fermare la fornitura di armi. Gli europei dovrebbero chiedere alla Turchia di allentare la pressione. La Russia dovrebbe produrre uno sforzo maggiore per spingere al dialogo. Noi cristiani non vogliamo prendere le armi ed  entrare in questa lotta fratricida».
  Un suo giudizio sull’opposizione?
 «Molti vogliono soltanto che le cose cambino. Ma ci sono anche mercenari».

Arrivati da dove?
  «Si dice alla Libia, dalla Turchia, dal Libano e anche dall’Afghanistan, ma  non ho prove di questo».
  Teme che i cristiani possano essere usati come scudi umani come è accaduto
 a Homs?
  «Sappiamo che cosa è successo. Pensiamo anche all’Iraq e all’Egitto. Questo  è il nostro cruccio, non certo i cambiamenti che fanno parte della politica e della storia. Non vogliamo che i cristiani se ne vadano. Sono un elemento di equilibrio, di pace e di progresso».
  In molti hanno lasciato Aleppo?
  «Ci sono state fughe preventive verso la costa o il Libano. Si sono  allontanati i più ricchi, non la classe media o i poveri che hanno più bisogno del nostro aiuto. Vorrei far capire ai musulmani che non debbono preoccuparsi. Loro sono la maggioranza e, se ci sarà democrazia vera,  peseranno di più. Temo che ci siano in gioco interessi meno alti della  democrazia e della libertà».