GAZA. SAFUAT avvicina il telefonino alla finestra del suo ufficio nel centro di Gaza. Due boati sono chiari e nitidi. Mancano pochi minuti alle 15. «Li senti? – è la domanda retorica – questi sono due razzi». «I bombardamenti sono molto pesanti – rabbrividisce – le case tremano. Noi non abbiamo nessun bunker. Oggi è stato ucciso un bambino, e una piccola è morta nella zona nord di Jabaliya (il campo profughi nel quale cominciò la prima Intifada ndr). Le famiglie scappano dalle case, ma non hanno un’idea precisa su dove rifugiarsi. Chi può raggiunge i parenti nel centro della città. Non perché sia più dotato di luoghi nei quali ripararsi, ma solo perché le abitazioni vicine ai confini, ovviamente, sono più pericolose».
 
 IN REALTÀ Gaza e la Striscia sono tutte esposte. Safuat è categorico: «Non esiste un luogo sicuro. Sopravvivere è il problema che angoscia tutti. Il cibo per ora non manca. Qualche negozio tiene aperto. In molti comprano la farina e se la portano a casa, in caso di emergenza. La corrente, come prima, arriva per otto ore al giorno, salvo le zone nelle quali i cavi sono stati tranciati dalle bombe. Ai distributori di benzina si vedono lunghe code. Arrivava dall’Egitto di contrabbando, ma ora manca anche lì. Israele  garantisce solo l’1 per cento della quantità che sarebbe necessaria. Anche il gas da cucina scarseggia. Prima che cominciassero i bombardamenti arrivava solo il 30 per cento del fabbisogno di Gaza e della Striscia. La gente sta facendo incetta. Nessuno sa che cosa ci riservi il futuro»
 Le scuole e l’Università sono chiuse, le strade semideserte. L’ospedale al-Shifa è a corto di carburante e i medici fanno sapere che non possono accogliere più nessuno. Tutti i letti dei reparti di terapia intensiva sono occupati. Scarseggiano i farmaci per l’emergenza. I sanitari sperano di riuscire a evacuare i feriti in Egitto attraverso il valico di Rafah, che ora è aperto 24 ore su 24. Safuat riassume la sua unica speranza per i giorni a venire: «Mi auguro che il mondo dica a Israele di smetterla. Poi c’è l’Egitto. Per la prima volta Gaza lo avverte come una vera madre. Attraverso Rafah farà arrivare gli aiuti che saranno mandati dal mondo arabo, senza rompere le scatole come succedeva in passato. Adesso il governo è al cento per cento filopalestinese».