A SANTA Marta il presidente israeliano Shimon Peres e il leader di Al Fatah Abu Mazen pregheranno per la pace con il Pontefice. Pare una contraddizione in termini o un miracolo di Papa Francesco. I dati di fatto cozzano con la speranza. I due eterni contendenti hanno appena reciso l’ultimo esile filo di negoziato. Ma sentono tremare la terra sotto i loro piedi. Messo con le spalle al muro dal blocco del rilascio del quarto scaglione di detenuti
palestinesi deciso dal premier israeliano Benjamin Netanyahu, Abu Mazen aveva reagito con un colpo di teatro chiedendo unilateralmente l’adesione a
15 organizzazioni delle Nazioni Unite. Il 23 aprile ha varato un’intesa con i Fratelli Musulmani di Hamas che nel 2007 lo avevano cacciato da Gaza.
Hamas non ha ancora cancellato dalla sua carta fondamentale la distruzione di Israele. Netanyahu ha reagito annunciando una legge di valore
costituzionale che indichi espressamente Israele come «stato nazionale del popolo ebraico». E durante il negoziato non ha mai fermato gli insediamenti
nei territori occupati. L’ultimo schiaffo sono i 708 alloggi già appaltati a Ghilo, un vasto quartiere ebraico a un tiro di schioppo da Beit Jalla e da
Betlemme.

SOTTO il gran fragore della polemica si intravedono grosse crepe. La quarta intesa per un governo di unità nazionale palestinese composto da tecnici e guidato da Abu Mazen arriva in un momento di gravi difficoltà per Hamas. In Egitto governa il generale al-Sisi che ha messo fuori legge i Fratelli
Musulmani e lesina i rifornimenti a Gaza. E l’Iran non ha gradito il mancato appoggio di Hamas a Bashar Assad, il suo proconsole in Siria. Anche Israele
non naviga in acque tranquille. Lina Khatib, direttrice della fondazione Carnegie per il Medio Oriente accredita l’ipotesi di un riavvicinamento fra
Teheran e l’Arabia Saudita. Gli ex irriducibili nemici sarebbero riavvicinati ora dal timore di quello che sta succedendo in Siria. Nella parte
settentrionale del Paese si è consolidata una vasta area controllata dai miliziani qaedisti di Jabhat al Nusra e dell’Emirato islamico dell’Iraq e
del Levante che sconfina nella provincia occidentale irachena di al-Anbar e arriva a 60 chilometri da Baghdad. È una novità imprevista che non piace per
nulla a Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita, Iran e Russia, le potenze che da sempre hanno in mano le redini del gioco in Medio Oriente.