PER decenni sono state solo ombre. Ora le schiave coreane del sesso, le comfort women, rapite dai giapponesi durante l’ultimo conflitto mondiale per allietare il riposo dei guerrieri sui diversi fronti della guerra, sono state invitate nella cattedrale Myeongdong di Seoul dal cardinale Andrew
Yeom Soo-Jung. Assisteranno alla messa di papa Francesco lunedì 18 agosto alle 9,45. Le sopravvissute, che hanno tutte più di ottant’anni, sono 54. Molte sono ammalate, sterili o tormentate da incancellabili traumi psichici.
Nel gruppetto potrebbe esserci anche Kang il-Chul, che fu rapita e portata in una base militare in Manciuria quando aveva appena 15 anni. Si deve a lei una campagna martellante perché le donne del comfort continuino a vivere nella memoria collettiva.

Il Pontefice arriverà in Corea del Sud il 15 agosto. La data contiene un doppio simbolo. È l’anniversario dell’indipendenza del Paese, ma anche della liberazione delle coreane costrette a «servire» i militari dell’Impero del Sol Levante.

NELLE PRIME fasi della seconda Guerra mondiale il reclutamento era affidato ad annunci sui giornali. Spesso venivano offerti lavori, a volte da infermiera, da operaia o da cameriera in ristoranti e alberghi. Ma quando si esaurì il flusso iniziale delle volontarie cominciarono i rapimenti e il
ricorso alla forza. Spesso il compito di organizzare le Case del Comfort veniva scaricato sui governatori del Paese occupato. Nelle retate furono coinvolte anche 300 donne olandesi catturate in Indonesia. Nel 1989 in Corea del Sud sono state raccolte le prime denunce. Nel 1973 era uscito il libro battistrada, scritto da Kakou Senda. Nel 1991 tre donne coreane hanno intentato causa al Giappone sulla base di documenti raccolti al ministero della difesa di Tokyo dallo storico giapponese Yoshiaki Yoshida. Gli Usa li avevano restituiti nel 1958. Due anni dopo l’ex ministro degli esteri del Sol Levante Yohei Kono rilasciò una dichiarazione nella quale esprimeva «profondo rimorso» per l’accaduto alle appartenenti all’altra metà del cielo costrette al ristoro sessuale delle truppe dell’Imperatore.

Nel 1998 un tribunale giapponese ha riconosciuto un risarcimento di 2300 dollari per ogni donna costretta ad allietare i combattenti. I numeri sono ancora indefiniti. Si va dalle ventimila vittime ammesse da storici giapponesi alle 410 mila calcolate dai cinesi. In febbraio il premier di Tokio Shinzo Abe ha fatto sapere che il suo governo si prepara a «rivedere la dichiarazione Kono». Quel «rimorso» fa a pugni con la sua sterzata neonazionalista.