Ci siamo abituati a vedere immagini di Kobane, la Stalingrado dei curdi siriani, sotto i bombardamenti della coalizione guidata dagli Stati Uniti. Sono funghi di fumo grigio che si alzano verso il cielo su un sottofondo di crepitii di armi automatiche. L’audio lo garantiscono i giornalisti di tutto il mondo. Raccontano la resistenza sovrumana dei combattenti curdi rimasti a difendere la città.

Ora il Califfato Islamico di Abu Bakr al- Baghdadi ha deciso di mostrare la sua verità sulla città che sta assediando da un mese e ha affidato la cronaca al suo reporter-ostaggio britannico John Cantlie, vestito di nero, trasformato da speaker dei guerriglieri qaedisti in loro inviato speciale, il mestiere che faceva prima della sua prigionia per i media inglesi. La battaglia, racconta, “sta per finire”. Indica un gran numero di uomini in nero.

Fa notare che non ci sono giornalisti occidentali. Diverse vedute dall’alto completano il video di 5 minuti e fanno pensare che siano stati usati droni, velivoli senza pilota. Potrebbe essere un video girato da un network dell’Occidente. Ma dietro il linguaggio accattivante c’è l’orrenda realtà degli ostaggi catturati in Siria. Tutti noi sappiamo che quattro sono stati decapitati dall’Isis e uno dai suoi alleati algerini.

Cantlie è in lista d’attesa. La tecnica “moderna” degli islamici vorrebbe farci dimenticare l’orribile voragine sul cui limitare il fotogiornalista si sta muovendo. Per tutti noi la sua allucinante trasfigurazione può essere solo il simbolo di quello che vogliamo e dobbiamo combattere con tutte le nostre forze, la violenza e il ricatto che riducono gli uomini a insensate marionette.