STATI UNITI e Europa da una parte, la Russia dall’altra. Antonio Fallico, classe 1945, numero uno di Banca Intesa in Russia, a Mosca dal 1974, lascia affiorare i suoi timori per la crisi dell’Ucraina. «C’è – si tormenta – uno scontro geopolitico. E l’Europa, purtroppo, si accoda agli Stati Uniti. Personalmente sono molto preoccupato. Se non si restituisce il primato al dialogo e alla diplomazia, si arriva sicuramente a una escalation che può sfociare in un conflitto, la terza guerra mondiale».

Su quali elementi si basa?

«Alla cerimonia per il 25esimo anniversario della caduta del muro di Berlino Gorbaciov ha tenuto un discorso. Mi ha colpito il fatto che nessuno lo abbia ripreso. Ha detto: gli accordi tra me e Kohl erano che la Nato non avrebbe posto basi ai confini della Russia».

Invece?
«E’ già successo nella Repubblica ceca e in Polonia. E’ adesso è il turno di Estonia, Lettonia e Lituania. Ovviamente sul piano formale sono le tre Repubbliche a
chiederlo. Per difendersi dall’orso russo».

 Sullo sfondo c’è l’energia, il petrolio shale ricavato dagli scisti argillosi.

«Le aziende americane che lo estraggono hanno già contratto debiti per 1400 milioni di dollari. L’idea statunitense è quella di venderlo in Europa. Il costo di produzione dello shale è di 70 dollari al barile, non considerando

però la logistica, ossia i trasporti che lo fanno salire a 110-120 dollari. Oggi sul mercato un barile di petrolio costa circa 80 dollari».
Quindi l’Europa sta sbagliando?
«Non pensa ai propri interessi».

Il suo ultimo romanzo, intitolato ‘Il gatto rosso’, raccontala trasformazione genetica del Pci e del Pcus.

«Si sono innamorati del mercato, del denaro, della cosa. Quando è finita l’Unione Sovietica, cercando un lavoro alternativo per uomini politici o alti ufficiali li presentavo come ex membri del Comitato Centrale. Precisavano subito: ero lì solo per fare carriera».

Nel 2013 in una intervista ha detto che il 100 per cento degli investimenti russi in Italia e il 95 per cento di quelli italiani in Russia passano da lei …
«Dalla banca, non da me».

Ma lei è il capo di Banca Intesa in Russia. In ogni caso tutto questo è devastato dalle sanzioni.

«Eni e Enel hanno venduto le loro partecipazioni nel settore del petrolio. Vietando la vendita di tecnologia sofisticata le sanzioni mettono in croce le aziende italiane.per le piccole e medie imprese,che fabbricano prodotti non fortemente tecnologizzati, non noto una grandissima differenza. I nostri esportatori agricoli perdono più di 700 milioni l’anno. I dati Istat di fine settembre dicono che il nostro export in Russia è calato del 10 per cento. Quello russo in Italia si è contratto del 14 per cento».
Su South Stream, il tubo del gas che aggira l’Ucraina, il capo azienda dell’Eni Descalzi ha detto che al massimo investirà 600 milioni di euro.
«E’ un progetto che si finanzia facilmente. Il problema vero è perchi, dopo, dovrà assicurare la tecnologia avanzata e cioè Saipem. Per South Stream ha firmato un
contratto che vale 2 miliardi di euro. Alla luce delle sanzioni che cosa farà? Eni detiene il 15 per cento di South Stream. Il suo impegno si manterrà?».
Nel suo libro spunta anche Putin.

«Si parla di un biondino … Sì lo conosco personalmente dagli anni Ottanta. E’ la personificazione del riscatto della Russia dopo tanti anni di umiliazione e di subordinazione».
Ma sa fermarsi al momento giusto?
«Finora è stato la persona più responsabile. Uno statista vero».