La campagna aerea contro l’Isis in Iraq e in Siria procede a rilento. Il ritmo fiacco è stato stigmatizzato pubblicamente dal premier iracheno Haider al Abadi in una sorprendente analisi ad alta voce sui risultati dell’offensiva. Kate Brennan, esperta di problemi della Difesa per Foreign Policy, ha scoperto un retroscena sconcertante. Il ritmo dei raid è frenato dagli organici striminziti dei militari dell’aviazione statunitense che gestiscono i droni, gli aerei senza pilota Predator o Reaper. I velivoli hanno bisogno di personale specializzato, circa 30 piloti per ogni drone e circa 80 analisti che interpretano una massa enorme di video. Deborah Lee James, sottosegretaria all’aeronautica militare americana, ha rivelato che gli addetti sono “sotto stress”. I numeri che ha fornito non lasciano spazio ai dubbi. “I piloti di droni  – ha spiegato – in media lavorano 14 ore al giorno per sei giorni di fila. Mentre quelli dei jet, come per esempio gli F 16, volano dalle 200 alle 300 ore all’anno, i piloti dei droni toccano medie che vanno dalle 900 a 1100”. Molti di loro sono intenzionati ad andarsene. La Air Force ha tentato di convincerli a restare innalzando la loro indennità da 650 dollari al mese a 1500. Ha tentato di richiamare al lavoro sui droni quelli che sono passati ai caccia. Il capo di stato maggiore dell’aeronautica Mark Welsh ha aperto le porte ai piloti della Marina e dell’Esercito, infrangendo un tabù antico. Secondo una nota inviata al generale dal capo del Comando di combattimento aereo Herbert “Hawk” Carlisle è alle viste “una tempesta perfetta”. La richiesta di sorveglianza e di interventi provocata dall’Isis ha preso in contropiede i pianificatori militari che appena un anno fa avevano indotto il ministro della difesa Chuck Hagel a dichiarare che le squadre adddette ai Predator  e ai Reaper potevano calare da 65 a 55. Pochi giorni fa gli iracheni hanno chiesto di intensificare i bombardamenti. Il generale dei marines in pensione John Allen, che coordina lo sforzo bellico dell’alleanza impegnata in Iraq e in Siria, i 40 Paesi che hanno dato vita all’operazione Inherent Resolve, ha fatto molta fatica a non tradire imbarazzo. Più bombardamenti vuol dire più voli dei velivoli senza pilota. Paul  Scharre, che ha lavorato nell’ufficio droni del dipartimento della difesa dal 2008 al 2013, ha fatto notare che l’esigenza è ancora più alta “quando non hai uomini sul terreno”. E l’Aeronautica, ha rincarato, “sta pagando il suo errore istituzionale di privilegiare i bombardieri invisibili e i caccia”. L’esigenza si farà ancora più acuta se e quando partirà l’offensiva per  riprendere Mosul, la seconda città dell’Iraq. L’Isis si sta attrezzando per difenderla. Secondo l’agenzia curda Rudaw ha già indetto una sorta di reclutamento forzato di giovani. Le famiglie che rifiutano di mandare i loro figli nelle milizie del Califfato dovranno pagare 850 dollari, una cifra spropositata per il tenore di vita degli abitanti.