“Nel campo profughi di Domiz, nel Kurdistan iracheno, una madre mi ha fatto visitare la sua  bimba. Aveva sei mesi, come la mia figlia più piccola. Un’altra donna mi ha portato la sua creatura, l’unica ragione di vita che le era rimasta. Il marito era andato a comprare il pane e si è trovato nel bel mezzo di un bombardamento. Non è più tornato. A Domiz 40 mila rifugiati sono stipati in un campo costruito per 12 mila persone al massimo. Sono come noi, solo che hanno perso tutto. Il 70 per cento sono bambini”. Saren Azer è un curdo iraniano poliglotta fuggito molti anni fa in Canada dove è diventato medico internista e rianimatore, a Edmonton. Ha quattro bambini e abita sull’isola di Vancouver. Fra il 1989 e il 1994 in Iraq è stato anche lui in una tendopoli per disperati che non avevano più nulla. Ora la sua scommessa è ricostruire l’ospedale di Kobane, la Stalingrado dei curdi siriani che ha resistito agli assalti dei miliziani dell’Isis dalla metà di settembre. La città è stata liberata definitivamente il 26 gennaio. La struttura sanitaria è stata rasa al suolo dagli uomini in nero del sedicente Califfo. “Voglio ricostruirla”, giura Azer. “Ci sono – si tormenta – corpi di persone e di animali in via di decomposizione. Sono una minaccia per la salute. Migliaia di abitanti stanno tornando in un vero inferno”. Nel 2007 Azer ha fondato la Società Internazionale per la Pace e per i Diritti Umani (Isphr è l’acronimo inglese). Ha sempre davanti agli occhi una bambina di otto anni che nel campo profughi di Kalar, nel Kurdistan iracheno, gli è venuta incontro con 250 dinari (18 centesimi di euro) stretti nel piccolo pugno, e gli ha chiesto di liberarla dal male al petto che la faceva soffrire. La memoria di quella manina che gli offriva i suoi risparmi è il suo incubo ricorrente: “Era malata di cuore. Abbiamo perso un sacco di tempo per convincere il padre a portarla all’ospedale. Poi non siamo riusciti a trovare i soldi per farla operare. E’ morta”. Il dottor Azer ha una seconda attività che affianca e integra la professione. Rastrella soldi per far vivere le persone assieme a Health Partners International Canada. “Per  575 dollari americani – calcola possiamo comprare una scatola  che può salvare da 60 a 120 vite”. Ha battuto la British Columbia e l’Ontario per raccogliere quattrini, arma indispensabile della sua lotta impari contro malnutrizione, colera, meningite. “I bambini – non sa darsi pace – sono il cuore della vita. E’ terribile vederli morire per malattie che sarebbe facile prevenire”. In dicembre la sua organizzazione ha raccolto 20 mila dollari per un campo profughi sul confine con la Turchia: “Ma c’è tanta miseria là che tutto quello che facciamo è sempre insufficiente”. Perfino il programma alimentare delle Nazioni Unite, l’Unfp, sta per esaurire le risorse che ha in cassa per l’anno in corso. Affronta una sfida di proporzioni bibliche: nella regione distribuisce cibo a un milione e mezzo di profughi.