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La testolina del neonato è protetta da un berretto bianco. Dietro, sul candore di un grande cuscino, sono appoggiate una pistola e una bomba a mano. Sulla sinistra si vede un certificato di nascita che sarebbe stato rilasciato dall’Isis, lettere scure su sfondo verde. Il primo a postarla è stato Abu Ward al-Raqqawi, un fan del sedicente Califfato che ha aggiunto un commento. “Questo bimbo – ha scritto – sarà un pericolo per voi (occidentali ndr.) non per noi”. L’autorevole sito curdo Rudaw rilancia l’istantanea. “Che abominio!” si scandalizza sui social media Lizbeth Garcia, insegnante spagnola di inglese.

Sul campo i bambini combattono e muoiono. Secondo Human Rights Watch il Centro di documentazione delle violazioni ha provato che fino al mese di maggio dell’anno scorso nella sola Siria 194 bimbi sono caduti con le armi in pugno. Raed, 17 anni, è stato affascinato dall’esibizione di armi e di divise dell’Isis: “Quando sono arrivati nella mia città mi è piaciuto moltissimo il loro modo di vestirsi, erano un gruppo disciplinato, avevano un sacco di armi. Gli ho parlato e ho deciso di andare al loro campo di addestramento di Kafr Hamra, ad Aleppo. Avevo sedici anni”. Bassim, 17, di Salqin, ha raccontato di essere stato folgorato un anno prima dai discorsi e dai sermoni ispirati dei miliziani. Wissam, un istruttore di 22 anni, ha detto che nel suo campo vicino a Jarablus il 60 per cento dei giovani in addestramento aveva meno di 18 anni. Riad, 16 anni, ha descritto i ritmi convulsi dell’istruzione nel campo di Kfar Hamra: “Ci svegliavamo, pregavamo e alle 9 circa cominciavano gli esercizi. Seguivano, dopo un breve riposo, i corsi di Sharia (legge coranica ndr.), lezioni di tecnica militare, nuovi insegnamenti di sharia, poi pausa e preghiere. Nel pomeriggio non ci permettevano di dormire. Venivano nella nostra tenda e sparando in aria ci mandavano a fare la guardia in una trincea. Spesso ci addormentavamo nella postazione”. Amr, 17 anni, si è arruolato nella Brigata Daoud nella sua città natale Sarmeen, nel governatorato di Idlib, all’età di 15 anni. Assieme a tre coetanei fu inquadrato in una “cellula in sonno”. Avevano il compito di raccogliere notizie sulle operazioni dei lealisti di Bashar Assad a Idlib. “Ho ricevuto un kalashnikov, sei caricatori, un giubbotto antiproiettile e una paga di 100 dollari al mese, la metà di quella versata agli adulti”, ricorda. I combattenti della sua unità, compresi i bambini, hanno firmato per essere inseriti nell’elenco degli aspiranti ad azioni suicide. “Io però – ammette – ero riluttante. Loro se ne sono accorti e così sono finito in fondo all’elenco. Mi sono iscritto come aspirante martire solo perché mi ha indotto la pressione sociale”.

Il rapporto precisa che il ricorso ai bambini-soldato è comune a tutte le forze che combattono in Siria. Li hanno reclutati i qaedisti di Jabhat al Nusra, i laici moderati del Free Syrian Army, i militari curdi dello Ypg (Yekineyen Parastina Gel), la polizia curda Asayish, le forze regolari dell’esercito e i paramilitari del regime, gli “shabbiha”, i “fantasmi”. Tre comandanti hanno dichiarato a Human Rights Watch che la politica ufficiale del Free Syrian Army è non accettare combattenti la cui età sia inferiore a 18 anni. Ma Abu Rida, che a Deraa comanda la Brigata Saif Allah al Maslool dello Fsa, ammette che il divieto non viene rispettato. “I ragazzi di 16 o di 17 anni – si giustifica – non sono adolescenti. Se non li prendiamo, andranno comunque a combattere per conto loro”.