UN VERTICE a Tunisi potrebbe aiutare la ricerca della pace nella Libia dilaniata dalla guerra civile. Rachid Ghannouchi, leader di Ennadha, il partito dei Fratelli Musulmani tunisini, rispondendo a una domanda di questo giornale sull’esperienza della sua compagine politica, l’unica del mondo arabo che ha accettato di cooperare con formazioni politiche laiche dopo essere stata sconfitta nelle ultime elezioni, dichiara testualmente: «Abbiamo messo tutte le nostre capacità ed esperienze a disposizione dei nostri fratelli libici, perché possano risolvere la crisi in corso, siamo equidistanti da tutti i gruppi. Il primo passo è garantire la sicurezza e la stabilità di questo Paese fratello».

Ma secondo lei è possibile un accordo di pace in Libia senza il consenso di una delle due parti che si combattono sul terreno?

«È difficile se non firma anche il General National Congress (ndr. il parlamento di Tripoli). Il Gnc e i suoi alleati sono una parte-chiave del conflitto. Controllano vaste fasce di territorio soprattutto nell’ovest e lì vive la maggioranza della popolazione».

Quindi?

«Senza l’accordo del governo di Tripoli nessuna intesa avrà un impatto significativo sul terreno. E chiaro comunque che tutte le parti hanno interesse a una soluzione politica e alla fine del conflitto armato. Sul principio del dialogo non c’è nessuna differenza di opinione, dopo che tutti si sono resi conto che nessuno può annientare l’avversario. Poi c’è un interesse della comunità internazionale. Un intervento militare sarebbe disastroso e riproporrebbe esperienze tragiche».

I comuni vogliono avere più voce in capitolo. Lo hanno chiesto al presidente dell’Associazione Nazionale dei Comuni italiani Piero Fassino. Lei pensa che sia utile coinvolgere anche le tribù?

«Le municipalità sono elementi cruciali. Sono sul territorio, riflettono le preoccupazioni della gente comune, esistono già fra loro fattori di coesione e di comunicazione, assenti invece nelle élite politiche. Li abbiamo incontrati. Hanno fatto forti pressioni sui vertici perché abbandonino il linguaggio delle armi e perché ritrovino la coesione nazionale. Anche le tribù sono una componente importante. I loro leader sono pragmatici e ben consapevoli di quanto sia vitale la convivenza. I Comuni e le forze tribali e sociali sono una grande locomotiva che può trascinare verso la comprensione politica».

Ma ci si può fidare del governo di Tripoli?

«Ha dimostrato la sua capacità di controllare la situazione, di affrontare l’Isis, di imporre tregue durate abbastanza a lungo sul terreno con le milizie di Rishvana, nelle vicinanze della capitale, e con quelle di Zintan, nelle montagne occidentali».

Che cosa può insegnare la vostra esperienza di partito islamico moderato in relazione a ciò che si può fare in Libia?

«Che il consenso politico e le concessioni reciproche sono importanti e che di deve abbandonare il linguaggio dell’esclusione. Ciò che è chiaro in qualche misura ora in Tunisia, in Libia e in tutta la Regione è che la politica è complessa e che nessun partito è in grado di governare da solo cancellando gli altri. L’alternativa sono guerre civili devastanti per tutti. La nostra esperienza è un modello che può essere attraente per i fratelli libici».