La lunga catena delle incongruenze comincia la sera del 15 febbraio 2012. Ufficialmente l’assalto sventato alla Lexie è accaduto alle 16,30, ora dell’India. Ma l’orario è contraddetto dallo stesso comandante del Saint Antony Freddy Bosco. Alle 23, appena sbarcato a Neendakara, dichiara a un reporter della tv locale “Venad News” che la sparatoria risale alle 21,30. Un cronista gli contesta che si sta sbagliando, ma lui insiste: «No, 21 e 30». Sul molo c’è anche il sottoispettore della polizia costiera J. Shaji. L’agente non accenna la minima reazione e tace la circostanza anche quando il suo superiore, l’ispettore capo R. Jayara, raccoglie la testimonianza di Bosco che cambia l’orario e lo sposta alle 16,30.

Nella sua autopsia sui corpi dei pescatori morti il professor Sasikala descrive proiettili molto diversi e più grandi di quelli in dotazione ai marò. Incurante del fatto, il perito balistico N.G. Nisha conclude che le pallottole mortali sono state sparate “da fucili calibro 5 e 56 ad alta velocità, dall’alto verso il basso e da grande distanza”. Come arriva al miracolo? La sua perizia è del 19 aprile 2012. I sequestri a bordo della petroliera Enrica Lexie si sono conclusi il 25 febbraio, si legge nelle carte depositate dall’India. C’è stato tutto il tempo per sparare con i mitra dei marò e per recuperare proiettili. I detective del Kerala però ignorano una regola fondamentale della marina italiana e cioè che ogni fuciliere di marina ha un’arma individuale e non di reparto. Accade così che sulla base dei numeri di matricola indicati dalla perizia balistica nel maggio del 2012 l’ammiraglio Alessandro Piroli, depistato a sua volta dalle manipolazioni indiane, non attribuisce i colpi fatali ai mitra di Latorre e di Girone, ma a quelli del sottocapo di II classe Massimo Andronico e del sergente Renato Voglino. Una circostanza smentita da tutte le testimonianze, da quella dello stesso Latorre e dalle dichiarazioni concordi del comandante della Lexie Umberto Vitelli e del secondo ufficiale Sahil Gupta. I maggiori dei carabinieri Luca Flebus e Paolo Fratini, i due esperti italiani ai quali è stato consentito di partecipare agli accertamenti come osservatori, ossia senza poter intervenire, non sono mai stati messi in condizione di avere la certezza che i proiettili al centro dell’accertamento balistico fossero quelli estratti dai cadaveri delle due vittime.

IL 23 giugno del 2012 il Saint Antony viene salvato in extremis dal naufragio. Il 10 maggio viene dissequestrato dalla magistratura, che raccomanda di conservarlo gelosamente. In barba alle disposizioni dei giudici, Freddy Bosco, il comandante, smonta l’elica, il motore e ogni attrezzatura ancora utile. L’acqua invade il vano macchine e arriva al ponte. Prima che lo scafo si inabissi definitivamente viene recuperato da 12 portuali specializzati. Troppo tardi però. Il mare ha già cancellato preziose tracce di polvere da sparo.