6 dicembre 2015

Lorenzo Bianchi

L’isis è sempre più forte in Libia. “Il 6 ottobre 2014, il mese nel quale mi sono insediato – dice Mohamed al Dayri, ministro degli esteri del governo di Tobruk, l’esecutivo riconosciuto dalla Comunità internazionale – a Derna un gruppo ha dichiarato la sua adesione al Daesh (ndr. l’acronimo arabo dell’Isis). Da allora lancio avvertimenti sulla sua espansione e sulla minaccia che rappresenta per la Libia e per i Paesi vicini. Sono stati sentiti, ma nessuno li ha ascoltati. La Comunità internazionale ha come prerequisito la formazione di un governo di unità nazionale. Ci sono state alcune difficoltà su questo. L’accordo sul governo non c’è ancora”. Avete bisogno di aiuti militari?

“In termini di addestramento, di supporto logistico. Non abbiamo bisogno di truppe di terra, né di piloti per i caccia. Abbiamo bisogno di equipaggiamento, di elicotteri e di armi adeguate per combattere i terroristi”.

Risentite dell’embargo che dura da due anni?

“Abbiamo caccia e carri armati vecchi. I jet sono Mig 23. La Russia ha smesso di produrli nel 1982. Ci mancano anche munizioni a volte. L’ho detto anche alla Lega Araba in agosto. E’ un armamento obsoleto, non è adeguato”.

Quali sono i punti di contrasto per il varo del governo di unità nazionale?

“Il testo iniziale che risale all’11 di luglio è arrivato all’ottava bozza. L’annuncio del 7 ottobre fatto a Skirat ha aggiunto un terzo vicepremier, invece dei due previsti dalla sesta. Per non parlare di altre dichiarazioni su una serie di posizioni-chiave come quella del presidente del Consiglio di stato o del presidente del Consiglio per la sicurezza nazionale. Tutto questo ha innescato discussioni e contrarietà sia nella Camera dei Rappresentanti di Tobruk, sia nel Congresso Generale Nazionale di Tripoli”.

Tutto fermo?

“No. Nella Camera dei Rappresentanti di Tobruk ci sono 92 parlamentari favorevoli. Un gruppo consistente, mi pare una settantina, è d’accordo anche nel Congresso di Tripoli”.

Sono la maggioranza?

“Sì, credo di sì”.

Torniamo all’Isis.

“Noi libici siamo le prime vittime, ma questa circostanza è ignorata dai mass media arabi e internazionali. Noi siamo uccisi ogni giorno a Bengasi, a Sirte, a Derna. Dopo Parigi abbiamo avuto una sventurata celebrazione dell’accaduto del Daesh a Sirte e un leader dell’organizzazione ad Harawa  che ha annunciato: manderemo altri commando ad attaccarvi Ha pianificato che la Libia diventi la sua colonna vertebrale per le sue operazioni globali, dopo l’intervento in Siria e in Iraq”.

L’Italia che cosa può fare?

“Ci sarà la conferenza internazionale a Roma il 13. Il sostegno politico e diplomatico che potrà garantire l’Italia è la chiave di volta per il successo dell’accordo nazionale promosso dalle Nazioni Unite. Poi è necessario l’aiuto nell’addestramento, nella logistica e nell’intelligence.  Unsmil, la missione dell’Onu, avrà il generale Paolo Serra come “senior advisor” per la sicurezza.Dopo il varo del governo di unità nazionale, avremo bisogno anche di aiuti materiali per il nuovo governo che si insedierà a Tripoli”.

Anche armi?

“Sì per coloro che dovranno proteggere il nuovo esecutivo nella capitale”.

L’intelligence italiana è da tempo presente. Nel sud, nel Fezzan, sono sul terreno anche gli 007 inglesi, americani e francesi per contrastare il terrorismo nel Sahel.

“Sì ci sono agenti, anche di altri Paesi, sono stazionati senza il nostro accordo o la nostra conoscenza. L’intelligence viene schierata così di solito”.