Ali Ahmad Sa’id, in arte Adonis

NELL’ISLAM la violenza nasce già con la sua fondazione. C’è poco da girarci attorno, o da fare paragoni con gli aspetti più retrivi e deprecabili di storia e precetti delle altre religioni monoteiste. È il giudizio sulla religione islamica e sul Corano del poeta siriano -libanese Ali Ahmad Sa’id, in arte Adonis. Emerge in una lunga e intensa chiacchierata con la psicoanalista e scrittrice Houria Abdelouahed intitolata Violenza e Islam (Guanda).

Il nucleo di pensiero dal quale sorge il nuovo saggio dell’85enne autore dei tre volumi al-Kitab (Il libro) è proprio il vincolo arcaico e tribale che lega spiritualità ed agire politico nel mondo arabo musulmano contemporaneo. L’unico tentativo di riforma, le primavere arabe che portavano in piazza la rivoluzionaria rivendicazione dei diritti dell’individuo, secondo Adonis è fallito. Le liquida come «primavere senza rondini», perché «non si può, nel contesto di una società come quella araba, fare una rivoluzione se questa non è fondata sulla laicità» (La Tunisia è l’unica rilevante eccezione). Il poeta cita la sura 71 del Corano , versetto 26: «Non lasciar sulla terra alcun abitante che sia miscredente». Dio appare come il «torturatore» o il «dio dei supplizi» o il «Dio vendicatore». Il fuoco ovvero l’inferno, Gehenna, possiede identità e parola. Nella sura 50, versetto 30, è anche insaziabile: «In quel giorno noi chiederemo alla Gehenna: Sei piena? E Lei chiederà: c’è dell’altro?». Abbud al Shaliji, uno storico iracheno, ha censito duecento tipi di supplizio in Mawsu’at al ahdab, l’enciclopedia dedicata all’argomento.

ADONIS elenca tre punti cardinali dell’Islam: il Profeta Maometto è il sigillo di tutti i profeti, le verità tramandate sono, di conseguenza, le verità ultime, l’individuo o il credente non può aggiungere o modificare nulla. I contestatori interni sono stati sterminati. Adonis evoca i «carmati», antesignani islamici del socialismo, e gli Zanj, i neri, fieri contestatori del razzismo e della schiavitù. Il mondo arabo «non è mai uscito dal Medioevo», sintetizza il poeta che oggi abita a Parigi. Nel capitolo sulla donna la coppia dialogante esibisce le argomentazioni e le citazioni più acuminate e disarmanti.

L’ALTRA METÀ del cielo trattata come «pezzo d’arredamento», come «proprietà dell’uomo»: «L’islam ha ucciso la donna, non c’è più una donna, c’è solo un sesso. L’ha resa uno strumento per il desiderio e il piacere dell’uomo», sparano a zero. Citano la sura 2, versetto 223: «Le vostre spose sono un campo Harth per voi, venite dunque al vostro campo a vostro piacere». Ed essendo Harth la donna esiste soltanto per generare. Per le disobbedienti c’è il precetto della sura 4, versetto 34: «Ammonitele, poi lasciatele sole nei loro letti, poi battetele». In ogni caso vi appartengono, sura 4,versetto 3: «Sposate allora di fra le donne che vi piacciono, due o tre o quattro (…) o le ancelle che le vostre destre possiedono». Nel finale del volume il pessimismo dell’autore è condensato in una contrapposizione distruttiva: «Il progresso secondo questa prospettiva (ndr. islamica) è un’imitazione perfetta delle origini. Invece secondo la tradizione occidentale, da Aristotele a Hegel, l’imitazione non ha alcun valore se non implica un superamento. Imitare significa superare ciò che si imita. Altrimenti l’imitazione non sarebbe che una copia superficiale e una deformazione». In Francia Violenza e islam (ndr. la i è sempre, rigorosamente, minuscola) è già un best seller.