LE PAROLE del procuratore di Bologna, Roberto Alfonso, indicano l’esistenza di un processo in corso che non si svolge nelle aule del Tribunale, che avanza privo di piemme antimafia, giudici e avvocati, ma che sta facendo affiorare uno scenario dove la politica ha tenuto gli occhi chiusi o se ha visto ha preferito non porsi troppi scomodi interrogativi.

Se è vero che l’Emilia Romagna è gravemente ammalata di mafia e cosche significa che fino ad oggi, e prima dell’intervento dei magistrati, il sistema della pubblica amministrazione e delle imprese non si era posto granchè il problema. Circolavano più soldi che pallottole, più investimenti che minacce, nella terra delle coop rosse e della ex vetrina del Pci. Eppure nonostante i «normali» appelli e proclami contro la mala organizzata siamo arrivati al punto di oggi con maxi inchieste sulla mafia calabrese e la procura che incalza le istituzioni a «darsi una mossa». Eccolo il processo. Quattro anni fa l’attuale procuratore aggiunto di Modena, Lucia Musti, ad un convegno lanciò l’allarme chiedendo più attenzione da parte della politica e delle istituzioni verso il mondo del lavoro, coop comprese, per cogliere segnali di «anomalie» prima ancora di parlare di inchieste. La guardarono come se fosse un marziano con i capelli biondi. E non è l’unico episodio del passato. Attraverso i soldi e le imprese le cosche calabresi vincenti hanno fatto affari e creato lavoro.

Prima di Aemilia ci sono state altre indagini, ma la società in senso lato le ha sempre guardate come singoli episodi. Troppi segnali non colti, dunque, troppo distacco. E adesso? Il banco di prova è pronto. Certo, i magistrati casualmente hanno alzato il tiro delle dichiarazioni nel momento in cui la responsabilità civile dei giudici diventa legge. Potevano farlo prima, ma pazienza, vale il risultato finale. La politica, la pubblica amministrazione, il mondo delle imprese ora devono cambiare passo, non c’è scelta. L’Emilia con le sue coop, con la sua «buona amministrazione» con la galassia di aziende «piccolo è bello», ha il dovere di non restare più immobile. Deve essere protagonista nella difesa della cultura della legalità e degli interessi degli onesti. Anche l’ex partitone ora renziano lasci perdere la difesa ideologica della «diversità» e guardi avanti con una visione più coraggiosa. Il colore dei soldi va tenuto sotto controllo.

Beppe Boni