Non è un caso se la foto del medico californiano che piange da solo con la mano appoggiata ad un muretto per non aver potuto salvare un paziente di 19 anni ha fatto il giro del mondo. E’ l’immagine della disperazione di un uomo, ma è anche un flash profondo sul senso del dovere di chi ha scelto il mestiere di curare gli altri, è l’intima essenza delle regole d’ingaggio morali che il medico, se è davvero tale, sente più forte di ogni altra cosa. Applauso e onore a quel dottore di cui non conosciamo nemmeno il nome e che ha commosso il globo. Quel grido silenzioso di un uomo in ginocchio che vuole piangere da solo è anche il grido di battaglia di chi ha consacrato la propria vita per salvare gli altri.

Quel medico, e tutti quelli che la pensano come lui, rappresenta una vittoria non una sconfitta. Il giovane è morto in sala operatoria, ma le lacrime del dottore rappresentano la voglia di lottare ancora, il coraggio di volercela fare la prossima volta. Ecco perchè tante volte ci diciamo che vale di più una parola di conforto che la cura specifica.
Quando sentiamo che il medico mette passione, cuore e senso di responsabilità nel cercare di risolvere il problema siamo già a metà della terapia. Il dottore che tratta superficialmente e con fretta il paziente sarà bravo ma delude e vale mille volte meno del collega californiano che piange da solo davanti al muretto. Appoggio la proposta di Massimo Gramellini sulla Stampa: di quella foto bisogna fare un poster e appenderlo in tutte le facoltà di medicina. Aggiungo: anche negli ospedali, negli ambulatori, nelle sale operatorie dove tutti noi, bambini, adulti e anziani, cerchiamo un medico per amico.
Beppe Boni