Beppe Boni
ROMA
OGGI segue lo scacchiere del Medio Oriente come vicepresidente dell’Istituto Affari internazionali, nel passato recente lo ha fatto come come capo di Stato maggiore della Difesa e poi consulente del ministro degli Esteri.
Generale Vincenzo Camporini, qual è lo scenario libico?
«Tutti contro tutti. L’Isis ha scavalcato la fazione musulmana egemone nell’area di Tripoli, ma i fronti sono molto labili e le situazioni cambiano rapidamente. Per l’Italia l’allarme è forte».
Il nostro Paese che deve fare?
«Dobbiamo ragionare tenendo presente gli interessi nazionali ed essere pragmatici. La posizione italiana verso le varie fazioni libiche deve favorire il nostro Paese».
Il problema sono gli alleati.
«Esatto. Non siamo sempre in linea con la posizione di Francia, Gran Bretagna e Usa. Dobbiamo essere molto più attivi nei contatti con il governo di Tripoli, che non gode dei favori internazionali, anziché con Tobruk. I nostri interessi sono concentrati nella zona occidentale».
Come vede una opzione di forze internazionali di terra?
«Non credo sia possibile. Se l’obiettivo è quello di occupare il territorio e pacificarlo servono centinaia di migliaia di uomini. La comunità internazionale non è disposta a tanto. Se invece si decide di creare una di testa di ponte allora è possibile. Ma non vedo un obiettivo politico perseguibile con militari sul terreno».
Tobruk chiede all’Occidente di partecipare a bombardamenti contro l’Isis.
«Le forze aeree sono efficaci se ben guidate. Un coordinamento del governo di Tobruk è troppo labile per garantire la precisione necessaria. E si tratterebbe di schierarsi da una parte in modo acritico. I nostri interessi, ripeto, spesso non coincidono con quelli di altre potenze».
L’Italia rischia l’importazione del terrorismo dalla Libia?
«Certo, ma per lo scenario confuso del Medio Oriente. Non è la Libia l’elemento chiave. Il mondo arabo è dilaniato dalla lotta fra sciiti, sunniti e altre fazioni».
Abbiamo reparti pronti a una operazione internazionale?
«Certo. L’Italia dispone di reparti di eccellenza, ma il quadro deve essere chiaro. Quando nel 1991 siamo intervenuti per liberare il Kuwait furono messi sul campo 600 mila uomini. Oggi non si arriverebbe a 50mila»
Perché?
«L’Occidente si è disarmato. Gran Bretagna, Francia, Usa, Italia hanno ridotto drasticamente gli effettivi. E nelle guerre contano gli uomini, non solo la tecnologia».
C’è pericolo di un effetto domino dalla Libia ai Paesi vicini?
«Sì, e soprattutto la Tunisia ha bisogno di essere protetta»
Migranti, come agire?
«La nostra cultura prevede l’accoglienza, ma serve un sistema di filtraggio più efficace per capire chi fugge dalle guerre e chi arriva con altre motivazioni. Bisognerebbe però rivedere la normativa internazionale. E per fermare le partenze serve un governo forte in Libia. Come quello che abbiamo distrutto».