L’Italiaccia senza pace. Misteri, amori, delitti del Dopoguerra” (Ed Rizzoli, pp 351,20 euro) è l’ultimo libro di Giampaolo Pansa, che il primo ottobre ha compiuto 80 anni. Il libro riprende il filo de “Il sangue dei vinti” e dei testi successivi che Pansa ha dedicato alla guerra civile. L’Italiaccia scorre attraverso le peripezie della famiglia ebrea Segre, ma si sono anche il repubblichino vendicatore, sesso, misteri.

Giampaolo Pansa lei il primo ottobre ha compiuto 80 anni da scrittore controcorrente. Che Italia vede da lassù?
«Quella che descrivo nel libro appena pubblicato attraverso la storia di una famiglia ebrea. È un’Italiaccia del 2015 terribilmente simile a quella degli anni 1945 fra il 1948. Allora c’erano industrie ferme, disoccupazione dilagante, tutti cercavano di uscire dalla povertà».
Un pessimismo estremo.
«Ma sì, confesso che io non sono molto socievole, e non intendo il carattere, ma qui c’è un Paese che fa paura. Non per Renzi al governo, che considero politicamente pericoloso, ma anche per come sono fatti gli italiani. In questi giorni vedo Roma e rabbrividisco».
Roma ladrona?
«No, Roma sporca, piena di scritte sui muri e sulle serrande: una peste bubbonica. È disordinata».
Colpa del sindaco Marino?
«Anche, ma non solo. Sono fatti così gli italiani. Marino, è un fantasma, un naufrago preso a spintoni anche dal Papa».
Perché lei sostiene che i partiti muoiono e vincono i califfati?
«Oggi i partiti soffrono di un discredito che nel Dopoguerra, tornando al senso del mio libro, non affiorava. Dopo prima, seconda e terza Repubblica sono disfatti e al loro posto ci sono appunto i Califfati, i centri di potere».
Fuori gli esempi
«Semplice. Ci sono aree regionali di potere che surrogano le strutture dei partiti, nate intorno a un leader. Il governatore Emiliano in Puglia, De Luca in Campania, Zaia in Veneto e poi il numero uno».
E chi è?
«Matteo Renzi è il primo esempio. Il Califfato, senza alternative, se non la fanghiglia, poi si organizza per imprimere ordine alla società».
Abbiamo statisti di peso?
«Non vedo nessuno del calibro di un Alcide De Gasperi che ci traghetti verso il progresso».
Qual è la parte sana dell’Italia?
«Migliaia di italiani che lavorano, che non rubano lo stipendio e si danno da fare. Soprattutto quelli che credono in qualcosa. Ma la parte buona è soffocata da quella cattiva».
L’Italia si è rimessa in moto come afferma il premier?
«Non me ne intendo. Ma noto che la disoccupazione giovanile cresce. Si , va bene c’è anche il Jobs act, ma i risultati si vedranno sul lungo termine. Ah, poi non capisco perché non l’abbiano chiamato Legge sul lavoro. Misteri governativi».
L’Italiaccia del 45-48 però ebbe come seguito il boom economico. C’è speranza di rinascita?
«Allora c’era un’Italia più giovane, con una volontà più forte.Osservo anche la gente e non vedo ottimismo, compreso il paese in cui abito. Anche se nei supermercati noto i carrelli pieni ci aspetta una notte buia e tempestosa».
Ancora pessimismo?
«Prendiamo la Volkswagen. Chi avrebbe mai detto che da un giorno all’ altro si sarebbe trovata sull’orlo del suicidio. Siamo circondati da un mondo sorprendente in senso negativo che ci rende fragili. Per questo parlo di Italiaccia rifacendomi al racconto di questo libro, bello grasso, molto italiano. Pieno anche di donne».
L’Europa esiste?
«Non so cosa sia. Se non è morta sta morend e la si percepisce solo per i divieti. È stata un costruzione ideale e politica».
Migranti, che fa il governo?
«Renzi non si è mai occupato di immigrazione. Ora è tardi. Si dovevano respingere i barconi quando erano pochi per far capire che si tratta di una strada sbagliata».
Chi è il leader del centrodestra?
«Non c’è. Berlusconi ha 79 anni, dovrebbe ritirarsi e aprire la strada a un successore. Salvini è un politico vero ma troppo duro. Serve un federatore, ammesso che gli alleati vogliano stare insieme».
Il centrosinistra dove va?
«È nel caos, diviso. In ogni caso ha trovato un leader come Renzi. Anzi un dittatore che lo tiene insieme».
Fino a quando scriverà?
«Finchè mi diverto. È l’unica cosa che penso di saper fare»

Beppe Boni