Gli operai assunti in cielo. Le omelie di don Milani
Novità e indicazioni dalla lettura di ‘Perché mi hai chiamato’: i carteggi inediti del priore di Barbiana gettano luce sulla sua formazione e sul suo modo di predicare
La dimensione del prete in don Lorenzo Milani (1923-1967) è quella che, paradossalmente, deve essere studiata ancora, esplorata in profondità. Sono usciti negli anni alcuni libri, come quello di Massimo Toschi, 'Don Milani e la sua chiesa', che hanno recuperato materiali originali a riguardo. Fabrizio Borghini con 'Gli anni del privilegio' ha gettato luce sul periodo di ministero a Montespertoli, precedente quello di San Donato a Calenzano (dove rimase fino al 1954) e, infine, di Barbiana (dal '54 al 1967). Lavoro prezioso, inoltre, è stato quello di Frediano Sessi, che per Marsilio ha scritto 'Il segreto di Barbiana', con alcune pagine di chiarificazione su don Milani prete e maestro, a fianco a quello di Antonio Santoni Rugiu e ad alcune testimonianze di particolare rilievo di Adele Corradi nel suo 'Non so se don Lorenzo' (Feltrinelli). Di non minore rilievo sono state le due mostre che nel 2009 e quest'anno hanno preso in esame l'attività di Lorenzo Milani come artista, terreno su cui è germogliata la sua fede.
Ora, grazie al lavoro di recupero e classificazione di documenti curato dalla Fondazione dedicata al priore di Barbiana, è uscito per la San Paolo 'Perché mi hai chiamato?', che presentata i carteggi tra don Milani e il suo maestro e confessore don Raffaele Bensi, don Divo Barsotti, don Primo Mazzolari e il segretario di Giovanni XXIII monsignor Loris Capovilla, il parroco di San Donato don Daniele Pugi, e con don Renzo Rossi e don Bruno Brandani. Sette, dunque, gli epistolari a cui si aggiungono altre sezioni di preghiere, appunti per le omelie e 'ultime parole', foglietti scritti per comunicare quando per effetto della malattia non riusciva più a parlare.
Il libro sottolinea, biograficamente, aspetti noti, comprese le ferite di rapporto con il vescovo Florit: i due si incontrano ma non si capiscono, anche per effetto di una parte della borghesia cattolica simpatizzante con don Milani che il priore individuerà come responsabile dell'immagine costruita di lui al vescovo e ne decreterà il divieto di salita a Barbiana (“il blocco continentale”).
Il libro viene incontro a una domanda che ancora non conoscere una risposta piena: come si formava don Milani? Cosa leggeva, quali teologi studiava, lui che parlava correntemente in tedesco e che mandava i suoi amici preti più giovani (don Serafino Ceri, ad esempio) a impararlo in Germania. Manca ancora una catalogazione dei suoi libri, compresi quelli studiati in seminario. Nella stanza di Barbiana si notano i numeri della rivista 'Aggiornamenti sociali' e Michele Gesualdi, suo allievo, ricorda la lettura assidua di 'Témoignage chrétien' e, nella catechesi a Barbiana, due testi su Francesco d'Assisi e Savonarola.
'Perché mi hai chiamato?' presenta due particolarità uniche: la corrispondenza breve ma di alta intensità spirituale con don Divo Barsotti e le omelie di don Lorenzo, di cui si conosceva pochissimo. Circa il primo aspetto, Barsotti mostra grande finezza introspettiva: “Il suo atteggiamento verso i suoi confratelli di cui alcuni mi hanno parlato, non è che una difesa. Sembra aggredire, soltanto perché si difende”. Il testo di Barsotti merita di essere proposto con ampiezza. E' del 1958 e successivo alla pubblicazione di 'Esperienze pastorali': “Lei ha un meraviglioso dono di fare polemica che io non ho. Non vorrei che le mie parole provocassero una reazione che avrebbe per unico effetto quello di una difesa dura e sbrigativa che ci separerebbe. Nessuno ha bisogno di aver ragione fino in fondo – e tutti invece abbiamo bisogno d’amore – non solo davanti a Dio ma anche davanti ai nostri fratelli.
Tuttavia quello che io le dirò non dovrebbe suscitare in lei alcuna reazione, perché non ho da ripetere che quello che mi scrive lei stesso. Lei sente che Dio la chiama a una vita di più intensa preghiera, lei prova intimamente il timore di non vivere come vorrebbe il suo sacerdozio. Se non ho riserve su lei è perché il libro mi ha fatto conoscere la sincerità della sua anima, le riserve sul libro sono le riserve al suo lavoro. Potrei io dividere il libro da quella che è la sua esperienza di lavoro pastorale? Io credo che lei abbia fatto un gran bene – ma non perché il mezzo di apostolato che lei ama sia senz’altro il migliore, insostituibile e di per sé efficace – ma perché lei era buono e si era impegnato fino in fondo con amore. I mezzi di apostolato – tutti, tranne la liturgia – non sono efficaci che in quanto sono esercizio di amore. Non sono i mezzi che contano ma l’apostolo che li usa perché nessun mezzo per sé è proporzionato al fine fondamentale che l’apostolo vuol raggiungere”.
Sul modo di predicare di don Milani, uomo “buono e che si è impegnato a fondo con amore”, si può leggere come esempio, visto il mese di agosto, l'omelia predisposta per la festa dell'Assunzione, il 15 agosto 1954, con un riferimento a una riflessione di La Pira che Polistampa ha editato integralmente quest'anno. Ma è ancora più sorprendente l'attualità del suo pensiero e della capacità di scandalizzarsi per il male portato ai più deboli in nome di uso selvaggio del profitto.
“Son 4 anni che è stato definito (il dogma dell'Assunzione, ndr) e il sindaco di Firenze scriveva in quell’occasione che la definizione di questo dogma dovrebbe rappresentare una rivoluzione totale per l’umanità. Se infatti Maria è stata assunta in cielo col suo corpo di carne vuol dire che la materia non è cattiva, ma che è qui a purificarsi, a prepararsi per una vita migliore e non solo lo spirito che l’accompagna. Vuol dire che l’uomo, anche l’uomo di ciccia vale più che ogni altra cosa nell’universo, comprese le stelle e il sole e le montagne e i mari e i governi e gli stati e la patria e la proprietà e le tante altre insipide cosette di cui si usa parlare. Vuol dire che chi chiude una fabbrica o licenzia perché la fabbrica vada meglio o per guadagnare di più, non crede che Maria sia stata assunta in cielo e che un giorno vi saranno assunti con grande gloria quei corpi d’operai malati di silicosi che essi oggi valutano meno d’un po’ d’oro che deve perire”.
Michele Brancale