L'ora di Religione

Primero Dios. I sei gesuiti dell’Uca (2)

L'eredità di Romero viene raccolta nel 1983 da Arturo Rivera y Damas, salesiano. Sulla scia del predecessore preme come può per il negoziato, continua l'azione evangelizzatrice, tiene viva la memoria dei desaparecidos, condanna ogni violenza senza indulgenze verso nessuno, svolge un ruolo decisivo nelle trattative che portano nel '92 all'accordo di pace tra il governo e la guerriglia.
E’ acclarato che Romero fu ucciso da uno squadrone della morte in una trama ordita dalle forze reazionarie del Paese, riconducibili al partito Arena, che lo accusavano di marxismo. A questo stesso quadro è stato ricondotto l’assassinio, nel dicembre dello stesso anno, delle tre suore statunitensi di Maryknoll Ita Ford, Dorothy Kazel, Maura Clarke e la laica Jean Donovan. Era un difficilissimo momento di transizione, di radicalizzazione della violenza, di ingiustizie sociali e di contrasti ecclesiali. L’azione pastorale e soffertamene solare di Romero e poi di Rivera Y Damas si colloca in questo panorama tetro.
Su quella vicenda oggi abbiamo più notizie e documenti che consentono di restituire Romero alla sua vera luce. Ci viene, a nostra volta, restituito un maestro della fedeltà al Vangelo e alla Chiesa.
Tra i libri usciti su Romero negli anni '80 si erano segnalati James R. Brockman, 'Oscar Romero, fedele alla parola' (Assisi, Cittadella, 1984) ed Ettore Masina con 'L'Arcivescovo deve morire', Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1996. Nel mezzo un film di buona fattura, di John Duigan, Romero (1989) interpretato da Raul Julia. Ma in quell'anno, la notte del 16 novembre, vengono uccisi  sei gesuiti di San Salvador (Amando Lopez Quintana, Ignacio Ellacuria, Juan Ramon Moreno Pardo, Joaquin Lopez y Lopez, Segundo Montes Mozo, Ignacio Martin Barò). I loro corpi senza vita, distesi con il volto sull’erba, freddano i lettori dei quotidiani del 17 novembre 1989:  sono stati massacrati, di notte, dal battaglione anti-guerriglia Atlacatl.

La città di San Salvador era sottoposta proprio in quei giorni a un attacco dei guerriglieri del fronte ‘Farabundo Martì’. Ma le forze ‘regolari’, in un primo momento sbaragliate da azioni audaci della guerriglia, riuscirono poi a riprendere il controllo della situazione, per due motivi: la difesa dei quartieri ricchi della città e il bombardamento delle periferie da una parte, dall’altra il ritiro dei guerrigilieri stessi che avendo mostrato la loro capacità offensiva potevano ora contare su una riapertura delle trattative con il governo di Alfredo Cristiani. Cristiani è il rappresentante di una delle correnti del partito di estemea destra al potere, ‘Arena’, e uno stesso dei gesuiti, Ellacuria, considerava il presidente ‘civilista’, cioè disponibile al dialogo.
E’ in questo quadro di guerra civile che viene consumato il delitto dei sei sacerdoti, responsabili della comunità gesuita che dirige la prestigiosa Uca (l’Università cattolica del Centro America). Insieme a loro sono state uccise anche la cuoca dell’istituto, Elba Ramos, e sua figlia, Celina. Due soli gli scampati: un gesuita, che temendo per la propria vita quella notte era andato a dormire in un altro luogo, e un altro sacerdote, Jon Sobrino, teologo di fama internazionale, come Ellacuria.
Sulla vicenda ‘La piccola editrice’ pubblicato nel '90 “Il martirio dei gesuiti salvadoregni”, testimonianza appassionata di Jon Sobrino e di altri gesuiti. Perché sono stati uccisi? Ellacuria e gli altri confratelli si erano adoperati con tutte le loro forze per la pace in Salvador. Sacerdoti e amministratori di sacramenti, erano anche educatori di quei poveri, vale a dire la larga maggioranza del Paese, che pagano con morti e sofferenze enormi le conseguenze di un conflitto politico esasperante. E per educatori si intende in senso stretto operatoi dell’alfabetizzazione dei poveri (che solo così potranno finalmente leggere il Vangelo e impadronirsi del linguaggio per comprendere e difendersi), vicini nelle loro necessità primarie, e quindi, rivendicatori di una democrazia reale che apra la strada a un vero sviluppo del Salvador. Questo non poteva essere tollerato dalle oligarchie degli antichi proprietari terrieri, che in Salvador e in Centro America, erano stati aiutati dagli Usa convinti che dove gli Stati Uniti cedono arriva il comunismo. E l’accusa di comunismo era rivolta anche ai sei gesuiti. Non c’è da stupirsi: in Salvador definirono comunista anche Paolo VI quando pubblicò la ‘Populorum progressio’ e, tempo dopo, il vescovo monsignor Oscar Arnulfo Romero, ucciso nell’80, mentre celebrava la liturgia.
I sei gesuiti hanno seguito Romero, che si avvaleva spesso della loro collaborazione. La loro fine sembra aver scosso tutti. Anche gli Usa, di fronte all’orrore, fanno sapere ad Arena che non sono disponibili a finanziare macellai.
Ellacuria era, insieme a Sobrino, uno dei rappresentanti più autorevoli della ‘teologia della liberazione’. Ma il termine non è univoco: sotto il nome di ‘teologia della liberazione’ passano numerose interpretazioni sociali e politiche del Vangelo, non tutte accettate dal Vaticano. La Sacra congregazione per la dottrina della fede, vista la rilevanza del fenomeno, ha pubblicato due documenti sulle teologie della liberazione. Documenti che Ellacuria, come gli altri gesuiti, aveva letto, accogliendone le indicazioni per una verifica della propria elaborazione dottrinale. Il punto di partenza era comunque una consapevolezza: che, come scrive Sobrino, “la nostra fede iniziò ai piedi di un crocifisso, di un giustiziato dai potenti di questo mondo”. E i sei gesuiti si erano identificati con i poveri del Salvador, riconoscendo in essi il Cristo crocifisso. Una scelta evangelica quindi, per la quale, la misericordia è giustizia e la fedeltà è fede nel Dio della vita di fronte alla morte, e che li aveva portati ad elaborare alcune riflessioni importanti e decisive. Come quelle sull’idea di università e sull’idolatria.
L’Uca è l’università più autorevole del Centro America. Nel 1982 Ellacuria pronunciò un discorso all’università di Santa Chiara, in California, che gli conferiva la laurea honoris causa. In quell’occasione spiegò ciò che voleva essere l’Uca e, più in generale, cosa doveva essere un’università di ispirazione cristiana. “L’Università è una realtà ed una forza sociale – disse – contrassegnata storicamente dalla società in cui vive e destinata ad illuminare e trasformare, come forza sociale, quella realtà in cui vive e per la quale deve vivere”. “L’Università – aggiungeva – deve incarnarsi intellettualmente tra i poveri per essere scienza di coloro che non hanno scienza, la voce istruita di coloro che non hanno voce, l’appoggio intellettuale di coloro che nella loro stessa realtà hanno la verità e la ragione”.
Per Sobrino l'ucciaione dei sei gesuiti "è strutturale e non deriva dalla crudeltà dell’una o dell’altra persona, dall’uno o dall’altro gruppo: è la necessaria reazione degli idoli della morte contro qualsiasi cosa si azzardi a toccarli”. “Gli idoli della morte – continua il gesuita – furono individuati da monsignor Romero nell’idolo della ricchezza, dell’assolutizzazione del capitale, il primo e più grande degli idoli e il creatore di tutti gli altri, e della dottrina della sicurezza nazionale; a ciò aggiunse il serio avvertimento alle organizzazioni popolari che non facessero mai della violenza, anche nel caso diventasse legittima, una mistica”. Secondo Sobrino, “non si vuole riconoscere che la linea di divisione dell’umanità è l’idolatria, che è presente dovunque, tra i comunisti e i democratici, tra i non credenti ed i credenti”. L’idolatria, quindi, ha più di un volto e, come disse monsignor Romero, non si possono toccare gli idoli impunemente: “Guai a chi tocca la ricchezza: è come un cavo di alta tensione: chi lo tocca muore!”.
I gesuiti assassinati, racconta ancora Sobrino, insistettero su questo punto fino alla morte: “Ricordo che poco tempo fa con Ellacuria parlavamo dell’assoluta verità delle semplici parole della Scrittura: ‘la radice di tutti i mali è la bramosia del denaro’”.
Le parole di Sobrino non descrivono soltanto, ma difendono la memoria dei suoi confratelli e il progetto evangelico costruito insieme. “Quando usavamo un linguaggio religioso – spiega – parlavamo dei poveri come i privilegiati di Dio; quando usavamo il linguaggio storico salvadoregno, parlavamo delle maggioranze popolari. In realtà è la stessa cosa: il servizio a milioni di uomini e donne che vivono una vita indegna di esseri umani e di figli e di figlie di Dio”. Ma proprio per questo i gesuiti venivano accusati di essere comunisti e marxisti. A volte li definivano antipatriottici, altre volte atei e, spregiativamente, ‘liberacionistas’. Ma, sottolinea Sobrino, “non furono portavoce di nessun gruppo e istituzione, ma portavoce della realtà stessa, e se ebbero e riconobbero qualche ragione di parte fu quella di vedere la verità nell’ottica dei poveri”.
Su Ellacuria, Martin Barò e gli altri gesuiti probabilmente si scriverà molto, per la ricchezza del loro lavoro, per la loro testimonianza. “Bisogna anche scrivere la biografia di Julia Elba e Celina – spiega Sobrino – forse in poche pagine ma colme della realtà del Salvador e di quella cristiana”.
Una realtà di povertà e di sofferenza, di lavoro quotidiano per sopravvivere, di speranza, di giustizia e di pace, di amore per monsignor Romero, di fede nel Dio dei poveri e della pace: “Che la sua pace – conclude Sobrino – trasmetta a noi vivi la speranza e che il loro ricordo non ci lasci riposare in pace”. (2)

 

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