Una Pasqua per essere umani
Per la tradizione orientale il tempo della Quaresima è quello della “radiosa tristezza” (Schmemann) in vista della gioia della Pasqua, giorno del passaggio dalla morte alla vita, giorno della resurrezione di Gesù che era stato crocifisso ed era morto, giorno che dà senso alla vita dei cristiani, alla speranza che è dentro di loro.
E' giunta la Pasqua e in questa festa di vita mancano all'appello gli amici di Gesù che sono stati uccisi, come è accaduto in questi giorni in Kenya, per il solo fatto di essere cristiani. E' un elenco troppo lungo, al quale associare i tanti figli di Abramo disarmati che muoiono per effetto del fondamentalismo e anche delle scelte scellerate di guerra (in Iraq in particolare) che lo hanno alimentato.
Ma di fronte a questo grido di Abele il mondo sembra essersi assuefatto. Il comportamento concreto degli Stati e degli organisimi sovranazionali rimette in discussione l'assunto: “Se avessimo saputo, avremmo reagito”. Certo, non tutto è fermo. Si studiano corridoi, ma non ci sono visioni d'insieme e di lungo periodo. Nel mondo globale e digitalizzato, si vedono i massacri in diretta ma non si resta poi molto toccati. Di alcuni Paesi si sa il peso della dittatura, la prigionia talvolta di centinaia di migliaia di persone, e non si risponde.
A una parte dell'Occidente, in particolare, parlare dei cristiani dà fastidio perché la loro testimonianza mette in discussione trend culturali tipici dell'individualismo di élites ricche e strategicamente onnipresenti nei media che pensano di poter comprare quello che vogliono e di anestetizzare il martirio innocente.
Accanto a questo silenzio solerte, bisogna considerare quanto detto detto dal Papa sul ruolo dei trafficanti di armi. Questo è proprio un punto centrale, sul quale tutti potrebbero agire. Chi tiene sotto controllo le fabbriche d'armi e i loro intermediari? Chi le intercetta? Sarebbe interessante, a ogni notizia di guerra e di attentati, ricostruire la filiera delle armi utilizzate e domandarsi come sono finite lì. Sarebbe anche un modo non vile di fare giornalismo.
In questa notte le tenebre non riescono a trattenere una luce. Il cardinale Bergoglio, nella veglia pasquale del 2000, riassumeva l'annuncio centrale del Vangelo in questi termini: “Colui che esisteva prima che Abramo fosse nato, che volle diventare vicino nel cammino con noi, il Buon Samaritano che ci sceglie sconfitti dalla vita e dalla nostra labile libertà, che morì e fu sepolto e il suo sepolcro sigillato, è risorto e vive per sempre”. Questo stesso annuncio proclama con forza che “nel mezzo di ogni morte c'è un seme di risurrezione”.
Di fronte alle tragedie immense della storia, cosa significa essere toccati dalla resurrezione, dalla Pasqua? Come rispondere in modo personale alle sfide corali di umanità? Un criterio lo suggerisce monsignor Romero, prossimo alla beatificazione: “C'è un criterio per sapere se Dio sta vicino o lontano da noi: chiunque si preoccupi dell'affamato, del nudo, del povero, dello scomparso, del torturato, del prigioniero, di tutta questa carne che soffre, ha vicino Dio”. Questa è la strada personale e possibile per ogni essere – credente o meno - che voglia essere umano. Ogni vita spesa così toglie spazio progressivamente anche alle fabbriche d'armi, all'insensibilità che priva di anima le istituzioni umane, converte a una logica di non guerra la mentalità che crede di trovare sicurezza e conforto nel denaro e trova poi un moloch che mangia chi gli offre sacrifici.