L'ora di Religione

Una vittoria umilissima

Un altro modo di “vincere”, anzi una “vittoria umilissima” che cambia il mondo dal di dentro. Un vero e proprio ribaltamento delle categorie abituali con cui si guarda alla storia, così viziata dai rapporti di forza che sembrano escludere sorprese perché informate alla legge del prevalere. La storia dei martiri è quella di “una vittoria umilissima”, spiega Marco Gnavi che a Tirana, durante il convegno della Comunità di Sant’Egidio  ‘La pace è sempre possibile’ ha moderato un panel sui martiri. Sono i testimoni disarmati della libertà religiosa e di un modo pacifico di vivere la fede. Donano la vita e non la tolgono.  Ad ascoltare queste vicende, facendo pausa nella corsa delle abitudini e degli automatismi, si intuiscono le forze più profonde che orientano il mondo, distanti e distinte da quelle a cui credono i distruttori, gli stessi che hanno cecato di scippare la terminologia del martirio. Nel Palazzo dei congressi di Tirana la voce di Ernest Troshani, prete che ha 84 anni, è accolta da un solenne rispetto unito a una forte simpatia, la stessa che ha contagiato alcuni giovani di Sant’Egidio che vivono a Scutari e stanno aiutando un altro grande testimone dei tempi bui del Paese delle Aquile, Gjovalin Zezaj: “Questo Paese è stato ferito in profondità – ha ricordato Andrea Riccardi - Negli anni bui dopo la seconda guerra mondiale, fu la terra del ‘comunismo realizzato’. Ogni libertà, particolarità, diversità, fu interdetta. Anche la religione, tanto che nel 1967 l’Albania fu proclamata primo Stato integralmente ateo del mondo. Ogni atto religioso era proibito e duramente punito. In quegli anni, libertà, coscienza, fede significarono il martirio di molti. Questa è una terra di martiri. Non è un caso che a Durazzo finiscano nella stessa prigione e nella stessa tomba il muftì, Mustafà Varoshi e l’arcivescovo cattolico Prendushi. Secondo Amnesty International, ancora nel 1991, erano aperti ben 31 lager in Albania”. In uno di questi campi era stato rinchiuso Troshani. Ora ha 84 anni. Tra il 1938 e il 1948 ha studiato nel collegio dei francescani.. Ordinato sacerdote nel 1956, fu arrestato più volte, torturato e nel 1963 condannato a morte. La condanna non fu eseguita ma commutata in diciotto anni di prigione in una miniera del paese. Uscito, fu condannato nuovamente ai lavori forzati per altri dieci anni.  Durante il periodo di prigionia, ha celebrato la messa, confessato e distribuito la comunione in clandestinità.

 “Nella mia cella – ha raccontato - era stata introdotta una spia. Parlava male del governo albanese davanti a me. L’unico commento che facevo alle sue parole era: ‘Cristo ama tutti, anche i nemici’”. Troshani fu condannato a morte, ma il dittatore Hoxha lesse le note scritte dalla spia e decise di commutare le pena capitale. “Per me – ha detto Troshani – quello di oggi è un giorno gioioso, è il giorno di quelli che vogliono il sorriso di tutto il mondo. L’amore per Cristo riscalda il mondo e  l’anima di tutti noi”. Accanto a lui siede Armash Nalbandian, primate armeno di Damasco, capitale della Siria lacerata. Ha compiuto il viaggio inverso a quello dei suoi connazionali. Nalbandian ha infatto svolto a lungo il suo ministero nella comunità armena di Germania, ma è tornato in Siria dal 2004. A lui e agli altri interlocutori – tra i quali  il copto Epiphanios, il vescovo ortodosso Serafim, il vescovo cattolico George Frendo, il metodista Paulo Lockmann e l’evangelico Thomas Schirrmacher - i giovani di Scutari chiedono come vivere la testimonianza dei martiri: “Da giovani – risponde Nalbandian -  quando si considera la propria mancanza di potenza e la propria debolezza, si rischia di perdersi, di restare smarriti. Invece quando si prova questo, significa che si è diventati qualcuno che non può odiare. Ed è questa è la nostra forza. Avete una scelta davanti a voi ed è quella di diventare costruttori di pace, non di vendette. Siate outsider del perdono, ambasciatori di un nuovo mondo”.

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