L'ora di Religione

Papa Francesco, la lealtà di don Milani e un’omelia d’Avvento

Nel ringraziamento a Papa Francesco al termine della liturgia nello stadio comunale ("Un grazie sentito che non vuole finire più...”), il cardinale Giuseppe Betori ha voluto ricordare i grandi testimoni della Chiesa fiorentina nel Novecento: Elia dalla Costa “pastore premuroso e compassionevole davanti ai regimi totalitari”, Don Facibeni “apostolo della carità”, Giorgio La Pira, sindaco santo, “profeta di giustizia e di pace” e don Lorenzo Milani “che ci ha richiamato tutti al primato dell'educazione e della coscienza in una sofferta ma leale fedeltà alla Chiesa”.

Questo ricordo del priore di Barbiana in un'occasione così solenne, davanti al Papa, sigilla la sua appartenenza alla Chiesa portando a compimento da una parte il riconoscimento pubblico operato dal suo confratello e compagno di seminario e ordinazione Silvano Piovanelli e dall'altra quella preoccupazione che don Lorenzo voleva risolta e che fu motivo di grande sofferenze, non solo per l'incomprensione di alcuni confratelli, per la quale non riusciva a darsi pace, e del cardinale Florit, quanto anche per la strumentalizzazione operata attraverso di lui contro la Chiesa in sé, tanto da arrivare a dire nel suo mesto pensare nel letto di infermità che su di lui il vescovo era stato informato male. Anche in Florit questa incomprensione diventò una ferita che lo spinse ad andare a pregare sulla tomba di don Milani a Barbiana, alcuni anni dopo la sua scomparsa. In quell'occasione avrebbe detto: “Quanto sono stato ingannato su quest'uomo”.

Non sono novità, ma il tempo, i documenti e le testimonianze garantiscono un maggiore distacco per oggettivare la storia di don Lorenzo, la cui ortodossia è ben più della battuta del “disobbediente obbedientissimo”. E' piuttosto l'espressione di un uomo radicato nel sacerdozio, nella passione evangelica e nell'amore per la Chiesa “in una sofferta e leale fedeltà”, come ha detto efficacemente Betori.

Nell'aprile dello scorso anno, il cardinale annunciò che la proibizione formale del libro 'Esperienze pastorali' era decaduta: “Ho inviato al Santo Padre un'ampia documentazione, attirando l'attenzione sul fatto che uno dei libri fondamentali, l'unico libro direttamente scritto da don Milani era ancora sotto la proibizione di stampa e di diffusione”. Questi elementi sono emersi in modo nitido nel convegno 'Don Lorenzo Milani. Al centro della Chiesa, non ai margini' svoltosi al Gabinetto Vieusseux su iniziativa dela Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna, in collaborazione con la Facoltà teologica dell'Italia Centrale, con gli interventi di Alberto Melloni, Federico Ruozzi e Riccardo Saccenti. In questa sede è stata presentata l'opera omnia di don Milani nell'edizione critica proposta nei Meridiani della Mondadori.

“Non sta a me in questo momento - ha detto Betori al convegno – delineare le ragioni e le responsabilità delle molte incomprensioni che accompagnarono don Lorenzo. Sta a me però riaffermare, con convinzione e con passione, quello che i miei predecessori hanno progressivamente chiarito alla coscienza della Chiesa di Firenze: don Lorenzo ci appartiene, lo sentiamo nostro, pronti ad accettare le sue innegabili asperità ed a raccogliere la sua testimonianza e insegnamento, in non pochi aspetti precorritore, testimoniato con tutta la vita, in un'ottica di servizio ai più deboli, un'ottica che sarebbe piaciuta a Giovanni XXIII se attorno a lui improvvidi e malevoli consiglieri non gliene avessero contrastato la comprensione. Don Milani è tra i profili che riteniamo costituitivi di ciò che è la nostra storia e il nostro presente”.

In una lettera scritta da Michele Gesualdi a Papa Francesco, l'allievo di don Lorenzo riconosce al pontefice di avere reso giustizia al priore di Barbiana, “anche grazie alla positiva e oggettiva istruttoria messa a punto dal cardinale Betori”, per avere dichiarato “dopo 56 anni decaduto il Decreto sul libro Esperienze pastorali e indicato don Lorenzo come esempio da seguire. Probabilmente don Lorenzo dal Paradiso ha sorriso di gioia non tanto per lui quanto per noi che gli abbiamo voluto bene”. Per questo la Fondazione Don Lorenzo Milani ha voluto donare al Santo Padre una croce lignea realizzata dall'artista Antonio Di Palma, accompagnata dalla frase di don Lorenzo: "Abbattiamo i muri che ci impediscono di andare incontro ai poveri e additargli la Croce". E' stata esposta nel Cimitero di Barbiana dall'8 novembre fino al termine del Convegno ecclesiale. Nella sua lettera Gesualdi esprimeva la speranza che con il Papa con il suo pensiero “vorrà raggiungere Barbiana e simbolicamente porre un fiore sulla tomba del priore di Barbiana, servo di Dio e di nessun altro”. Durante la liturgia allo stadio è successo qualcosa di più.

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Avvento del 1953. Dagli appunti di don Milani per le omelie
(dal libro 'Perché mi hai chiamato?', Ed. San Paolo, a cura di Michele Gesualdi)

La Patria 13.12.53

Sempre nel IV comandamento.

Cos’è la Patria? Difficile già rispondere. Patria è un paese più nostro che un altro paese.

Ma che vuol dire? Dove si limita? Basta uno sguardo alla storia per capire che Patria è un concetto che s’evolve o meglio cresce o meglio gonfia o meglio che sta per scoppiare e disgregarsi nel nulla.

Forse che quel giorno sarà il giorno del regno di Dio?

Patria per gli antichissimi popoli nomadi o per i selvaggi dell’Africa è la famiglia con tutti i parenti, cioè il clan. Ognuno dunque sarebbe obbligato a amare il suo clan, a difenderlo, preferirlo agli altri clan. In caso di conflitto schierarsi a torto o a ragione per lui. Va bene.

Ma un giorno due o tre clan riuniti han fatto tribù. Che ne è del concetto di Patria? Quelli che ieri erano stranieri ora sono fratelli. Per loro bisogna battersi contro quelli delle altre tribù.

Veniamo a tempi più vicini a noi. Pisa e Firenze in lotta secolare. Per il fiorentino dunque la patria è Firenze e un pisano non è meno straniero d’un mercante olandese di passaggio.

Per il bene di Firenze bisogna dunque cercarle uno sbocco sul mare e far orfani e vedove tra i pisani? O almeno se i pisani attaccano per amor di patria bisognerà difender Firenze e chi non difenderà Firenze e non offenderà Pisa sarà un traditore. Ugolino muore di fame in prigione per aver tradito Pisa a favore di Firenze. Firenze gli può dunque fare il monumento? Ma Firenze e Pisa sono in Toscana. E quando

un par di secoli dopo tutta la Toscana è un granducato bisognerà amare Pisa e Firenze insieme e difenderle da qualcun altro. E allora Ugolino è sempre un traditore della Patria?

Un altro par di secoli dopo 1000 esaltati montano su due navi e partono da Genova verso Marsala. Genova era nella loro Patria, il Piemonte. Marsala in un’altra patria, le due Sicilie.

Dopo i primi scontri i picciotti siciliani si mettono a sparare anche loro contro le loro truppe regolari che erano comandate da siciliani come loro, comandate da ufficiali siciliani sia pure al soldo d’un re austriaco. Traditori i picciotti? Traditori i mille? Traditori i regolari borbonici? Pochi anni dopo l’Italia è ormai una nazione. Ora non c’è più dubbi: i picciotti siciliani non devono sparare sulla polizia anche se ha ufficiali piemontesi, perché i piemontesi sono fratelli. Devono marciare uno accanto all’altro e sparare sugli austriaci perché ora son stranieri gli austriaci.

Ora cari smetto perché mi avete già inteso. Questa lunga storia fa ridere, no anzi, fa piangere. E se uno si rifiuterà di sparare sui tedeschi perché ha già in cuore la patria Europa sarà un traditore? Domani sarà un traditore se spara sui tedeschi. E se uno ha già inteso una Patria più grande ancora, la patria mondo, e si rifiutasse di sparare su nessuno se non sulla luna sarà un traditore o sarà solo un profeta del giorno

benedetto che ogni giorno invochiamo nel Padre nostro – venga il tuo regno.

Xsto re non di Firenze, non d’Italia, non d’Europa ma del mondo”.

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